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Visualizzazione dei post da maggio, 2014

La prossima Anna Karenina. Viaggio nella narrativa russa contemporanea.

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Avete mai provato a passeggiare per le strade di San Pietroburgo in una notte che stenta ad arrivare , rileggendo la descrizione che Dostoevskij dà della città in Le notti bianche ?   C’è una mia vecchia amica che lo faceva regolarmente. Si piazzava sulla Prospettiva Nevskij , proprio in questo periodo dell’anno, quando la sera è ancora giorno (fra fine maggio e i primi di luglio si possono superare le 18 ore di luce in un giorno a San Pietroburgo) e iniziava a leggere e a camminare . Avanti e indietro. Forse, come la protagonista femminile del romanzo, Nasten'ka, in attesa di un suo antico amore che prima o poi le sarebbe apparso, dandole un’altra opportunità. Se qualcuno se lo stesse domandando, no, il suo antico amore non è arrivato, però la mia amica ha rimediato numerosi spintoni dai passanti, una corposa manciata di pali in piena faccia e soprattutto una conoscenza maniacale del testo di Dostoevskij.  Non parlatele di Tolstoj però. So che ha fatto fare davvero una brutta

Il Salone Internazionale del libro di Torino? È come giocare ad acchiapparella.

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Nel post di domenica scorsa , ricordavo che i libri non sono corpi morti, ma universi viventi . Possono diventare il nostro Dio personale e consigliarci nelle scelte, anche in quelle più difficili. Qualche giorno fa camminavo per i padiglioni ancora chiusi al pubblico del XXVII Salone Internazionale del libro di Torino. Erano passate da poco le 9 del mattino e il salone avrebbe aperto al grande pubblico solo di lì a un’ora. Il silenzio rimbalzava sui soffitti a griglia, si muoveva veloce come un serpente di vento sul pavimento, per attorcigliarsi corposo alle travi di cemento beige, retaggio dello stabilimento di produzione FIAT che qui ha dimorato per cinquant’anni, assemblando pezzi di storia automobilistica come la Topolino. Poi, d’un tratto, il silenzio si è fermato al mio fianco ad ascoltare il sospiro dei libri . Incerottati, ingabbiati e “incopertati” (a secondo del materiale usato dai singoli standisti per tentare di proteggere i libri da mani estranee) erano lì tutti a fre

La colazione di Proust al Salone Internazionale del libro di Torino

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Ci sono dei libri che vanno tenuti sul comodino. E non per far vedere agli amici che leggete Proust. In pochi leggono Proust e nessuno, di certo, insiste a leggerlo in maniera continuativa per anni come dimostra anche la spessa polvere che si è depositata sopra la copertina della vostra copia de La ricerca del tempo perduto. Cessate di fingere e smettete anche di ingozzarvi di madeleine, Marcel ne usava solo una e ne bastava un boccone intinto nel tè per scatenare i suoi ricordi. Spolveratelo quindi e riponetelo nella libreria, ricordando l’insegnamento di Roberto Roversi : i libri non sono corpi morti, ma universi viventi . Vanno trattati con la dovuta attenzione non solo mentre li si legge, ma anche mentre ci si prepara a farlo, predisponendo la mente al pensiero e alla conoscenza della divinità del momento, ossia quella che teniamo sul comodino perché venga letta e non usata come poggia bicchiere d’acqua. Prima di scegliere il vostro prossimo Dio, pensateci bene e, per a

Henri Cartier-Bresson: Il grado zero di un viso. Un libro raccoglie quarant'anni d’interviste.

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Il 30 aprile è uscito in libreria un libro molto particolare. Non è un romanzo e non è un saggio, non è un mémoire e non è una raccolta di poesie, ma ha al suo interno frammenti di tutte queste forme di espressione. Parliamo di Vedere è tutto (edito da Contrasto, collana Logos Lezioni di fotografia, 2014) raccolta delle i nterviste rilasciate da Henri Cartier-Bresson tra il 1951 e il 1998 . Fotografo, disegnatore, prigioniero evaso, feticista dello sguardo, uno dei pochi artisti dell’immagine a poter dire di aver visitato la propria mostra postuma (al MoMA nel 1946 quando era stata dato per disperso) quasi sessant’anni prima di morire “davvero” all’età di novantasei anni.  Parlare di Henri Cartier-Bresson (HCB) è parlare della storia della fotografia in generale e della street photography in particolare, ma vuol dire soprattutto tentare di entrare nella sua ricerca del « grado zero di un viso », di cosa, citando Roland Barthes, si nasconde sotto almeno quattro diversi livelli