USA: l’attesa oscura. Il viaggio di uno scrittore in un Paese pronto al peggio
L’ultimo romanzo
di Dave Eggers (I vostri padri, dove sono? E i profeti,
vivono forse per sempre? –
Mondadori 2015) racconta la storia di Thomas, un quarantenne arrabbiato,
che prende in ostaggio persone che hanno avuto la sventura di sfiorare la sua
vita, legandole sul tetto di un palazzo di una base militare abbandonata in
California. Da qui parte un interrogatorio fittissimo per scoprire le ragioni
della rabbia e della disillusione di Thomas e di tutta la generazione di
trenta/quarantenni nei confronti del sogno americano.
Lo stesso tema
su cui s’incentra il reportage che Dave
Eggers ha pubblicato di recente sul Guardian,
raccontando il suo viaggio nell’America post elezioni 2016, quella che ha,
inaspettatamente (?), scelto Donald Trump come suo 45° presidente. È una
lettura ipnotica, non solo per lo stile che riesce a mettere immediatamente a
fuoco cosa passa per la testa dei personaggi (in questo caso persone in carne e
ossa), ma soprattutto per la consapevolezza che il lettore acquisisce dell’ineluttabilità
di questa vittoria. Perché bastava andare in giro per il Paese e scoprire che
la sicurezza dei Democratici (e di gran parte dei media) sulla vittoria di
Hillary Clinton alle elezioni presidenziali dello scorso 8 novembre era mal
riposta.
Il viaggio di
Dave Eggers inizia un mese prima delle elezioni. Prima tappa: Pennsylvania, da Pittsburgh a Philadelphia.
Nessun segnale
in supporto della campagna della Clinton, sulla Lincoln Highway che attraversa lo stato, gli unici simboli visibili
sono le bandiere confederate che sventolano. Niente di strano se fossimo in
Texas o in Alabama, ma qui siamo in Pennsylvania, uno stato che non faceva
parte dei confederati nella guerra civile che infiammò gli USA 160 anni fa e
che ha assegnato nelle ultime sei elezioni presidenziali il suo voto ai
Democratici. Eppure, fermandosi in un luogo simbolo della Patria, il memoriale
per i passeggeri del volo United 93 che avrebbe dovuto schiantarsi sul
Campidoglio o la Casa Bianca secondo il piano terroristico dell’11 settembre e
che invece, grazie al sacrificio di 40 persone, cadde a Shanksville, Dave
Eggers trova bandiere confederate a ornare il portico dell’ingresso al
memoriale. Qualcosa di strano stava per accadere. Trump con la sua retorica e i
messaggi diretti e sprezzanti era già arrivato al cuore della gente, ma molti
hanno preferito, come è accaduto per noi con Berlusconi, non dichiararsi
convinti. Non era ‘polite’, accettabile socialmente supportare un uomo che
faceva della rabbia della gente e della necessità di dare a questa rabbia un
nome (e così un nemico da odiare e incolpare) un trapano con cui maciullare
ogni remora ad attaccare tutto e tutti nella speranza di recuperare un tenore di
vita e una certezza di sicurezza che non esiste e forse non è mai esistita.
Seconda tappa: Detroit, Michigan.
Incontriamo, a
due giorni dalla vittoria di Trump, Steven. Alle soglie dei suoi quarant’anni,
figlio di una venditore che con il suo unico stipendio è riuscito a mantenere
moglie e cinque figli, Steven sente di aver perso molto rispetto a suo padre.
Altri tempi, allora non c’era il NAFTA, la globalizzazione e la fuga da Detroit,
ex-capitale dell’industria manifatturiera americana. Steven ci racconta che era
stanco e arrabbiato perché sembrava che nessuno al Campidoglio s’interessasse
di quello che accadeva alla gente. Fino a Trump. Steven racconta che: «Trump
non è un politico, ma un imprenditore e quindi sa come sono importanti le
scelte economiche e che effetto possono avere sulla vita e il futuro delle
persone, perché lui ha rischiato in prima persona – e ancora – Noi a Detroit
abbiamo creato la middle class americana, ora qui c’è solo un’economia fasulla,
il mercato degli immobili è decimato e la classe media non fa che
assottigliarsi. Voglio qualcuno che dia una scossa al sistema e che trascini
con sé tutto il Paese». Nulla di strano,
direte voi, Trump è un abile comunicatore e ha parlato alla pancia dei bianchi
conservatori, cristiani, ex benestanti, dando la colpa agli altri, quali
‘altri’ non è poi così importante: messicani, immigrati, politici corrotti,
dissacratori della morale americana. Vero, ma Steven non corrisponde allo
stereotipo dell’elettore trumpista. Parlando con lui, attraverso il filtro di
Eggers, scopriamo che Steven è sposato con un uomo e lo ha potuto fare grazie
alla lunga lotta dei Democratici che ha portato la Corte Suprema statunitense a
rendere legale il matrimonio fra due persone dello stesso sesso in tutto il
Paese. Eppure Steven ha scelto Trump e le sue dichiarazioni decisamente
contrarie alle libertà di cui Steven oggi giustamente usufruisce. Ma tutto
questo non conta perché Steven ha finalmente qualcuno da odiare, per lui non
c’è alcun dubbio: i mussulmani americani («Non è stato certo un gruppo di suore
cattoliche a guidare degli arei contro il World Trade Center»). Come la
Pennsylvania, anche il Michigan che aveva votato Obama, ha preferito Trump.
Terza tappa: Washington D.C.
La capitale. Qui
Dave Eggers ci racconta l’incontro con due cercatori di libertà: Mahmoud e
Miriam, giornalisti palestinesi che aspettavano da tempo di poter uscire dalla
striscia di Gaza e andare in USA, terra di apertura e libertà. Dave Eggers è a
disagio quando li incontra il giorno della vittoria di Trump. Sente subito
l’esigenza di scusarsi per la scelta fatta dai suoi connazionali. I due
giornalisti gli dicono di non preoccuparsi e gli regalano un pezzo di muro. Il
muro di cinta dell’aeroporto di Gaza distrutto da Israele nel 2002, un muro che
doveva difendere qualcosa che non esiste più. Immaginiamo a cosa sta pensando Dave Eggers: “e se del sistema di diritti
civili così come oggi lo conosciamo, alla fine del mandato di Trump restassero
solo macerie?” Miriam non va così lontano, per ora è raggiante, nonostante
tutto. Sa che deve fare presto, una manciata di giorni la separano
dall’insediamento del 45° Presidente alla casa bianca, deve sbrigarsi prima che
la realtà che ha tanto atteso, le cambi davanti a velocità ‘trumpica’.
E noi? Se il
viaggio di Dave Eggers si conclude con oscuri presagi, speriamo eccessivi, non
possiamo evitare di chiederci se Donald Trump costruirà davvero tutti i muri
fisici e morali con cui ha raccolto migliaia di voti o si limiterà solo ad
arricchirsi ancora di più, lasciando l’America ai suoi problemi. Business First, non si dice così?
Certo, se G.W.
Bush, un uomo che paragonato a Trump possiamo definire un mediocre comunicatore
di intelletto misurato, ha dato il via a due guerre e contribuito con la sua
politica a massacrare l’economia mondiale, cosa potrà realizzare un uomo che è
abile manovratore delle paure umane e non deve ringraziare alcun partito per la
sua nomina? Business First. Siamo costretti a sperarlo davvero.
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