Una zolletta di ispirazione in una tazza di notte.
Qualche tempo fa mi sono immerso
con sommo piacere in uno stralcio di un’intervista ad Antonio Tabucchi, in cui
lo scrittore si definisce un solitario
contraddittorio. Da un lato troppo amante della solitudine e della concentrazione
che in essa si nasconde, dall'altro spaventato dalle sue conseguenze estreme:
l’auto-analisi spinta all'eccesso, le ossessioni, le piccole manie che si
mutano in psicosi e che ci fanno temere di rimanere insonni, per l’intera notte,
a cercare di controllarle. Lì, con gli occhi spalancati a registrare rumori
inesistenti, mentre la nostra casa dorme, la città si accuccia nel ricordo
della giornata appena strombazzata via e il vento sembra placare se stesso e
ogni sogno che gli è stato lanciato addosso da occhi tristi, un tempo troppo
arrabbiati, ora soltanto delusi.
Ultimamente resto spesso sveglio
di notte. Non che non mi piacerebbe dormire, è che proprio non riesco a
trattenere il pensiero. So che molti di voi saranno stati svegli proprio in quegli
stessi momenti, a ballare, bere, camminare, fare l’amore, ridere, urlare. Io
aspettavo che la Saudade, quel misto
di malinconia e nostalgia di cui parla spesso Pessoa e in cui lo stesso
Tabucchi si sarà immerso, decidesse cosa fare di quelle ore, della
finestra cui mi affacciavo in una notte ancora affamata di sospiri.
Vagare fra le foglie di platano,
dove una piccola idea potrebbe incastrarsi, dove le foglie non sono vere
foglie, ma solo altre idee, le vostre idee, quelle che non siete riusciti a
trattenere nel letto e che ora, mentre vi siete finalmente addormentati,
sono a mia disposizione. Antiche passioni, eterne delusioni, possibili,
sì, ancora possibili riconquiste, racchiuse in altre notti in cui uno di voi si
metterà a guardare le mie affannate ricerche; senza avere bisogno di una buona ragione, senza
curarsi del sonno che si sta perdendo, senza aver paura di ciò che si sta
osservando, pronti a gustare la zolletta di ispirazione che qualcuno ha versato
per noi nella tazza della notte. Gabbiani gracchiano con la pancia illuminata
dal riverbero delle vostre luci, che ora, mentre la notte si sta disperdendo,
sembrano soltanto una vostra creazione, io non li avrei mai inseriti fra i miei
pensieri. Beh, complimenti, proprio un bel lavoro, sembrano veri.
«Ho visitato e ho vissuto in molti altrove. E lo sento come
un grande privilegio, perché posare i piedi sul medesimo suolo per tutta la
vita può provocare un pericoloso equivoco, farci credere che quella terra ci
appartenga, come se essa non fosse in prestito, come tutto è in prestito nella
vita.» (1)
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