Lehman Trilogy. Il testo di Stefano Massini torna al Piccolo di Milano per raccontare il crepuscolo di un’epoca
Era
il gennaio del 2015, quando Luca Ronconi metteva in scena al Piccolo di Milano
il testo di Stefano Massini Lehman Trilogy (edito da Einaudi
nel 2014) che racconta la storia di tre generazioni di Lehman, coprendo 160 anni di
storia americana. Dal loro arrivo in Alabama, nella seconda metà dell’Ottocento
da un piccolo paesino della Baviera sui bastimenti che portarono migliaia di
europei a cercare nel nuovo mondo una strada per il loro riscatto, al crollo della
quarta banca degli USA (Lehman Brothers),
un impero finanziario globale, che con la sua scomparsa ha decretato la fine
del capitalismo del XX secolo.
A
distanza di due anni, il
Piccolo Teatro, per festeggiare i suoi primi 70 anni (fu fondato nel 1947
da Giorgio Strehler, Mario Apollonio, Virgilio Tosi e Paolo Grassi) e ricordare
l’ultimo lavoro di Ronconi (scomparso il mese dopo la prima messa in scena di
questa pièce al Piccolo), ripropone Lehman
Trilogy offrendo la rara opportunità a chi andrà a vedere questo spettacolo
(in scena fino al 21 gennaio) di concedersi un momento di riflessione, senza
pregiudizi, su quali cause (e sono molte
più di quelle con cui i media hanno liquidato il fallimento di Lehman Brothers) hanno portato una delle
banche di investimento più grandi e potenti del mondo a sparire insieme alla
famiglia che quella banca aveva creato partendo da un negozietto di tessuti in
Alabama, con l’insegna gialla e nera dipinta a mano dal proprietario per
risparmiare e la maniglia della porta che si incagliava.
In
un allestimento spogliato di ogni riferimento spaziale e temporale, ad
eccezione di un orologio che scorre avanti e indietro su una carrucola sopra le
teste degli attori, a dimostrare che il tempo in questo testo è un fattore
relativo cui gli attori e il pubblico possono fare ricorso a loro piacimento,
si muovono i tre fratelli Lehman: Henry, il maggiore, la ‘testa’, il
primo che arriverà in America dalla Baviera alla ricerca di una vita nuova,
Emanuel, il ‘braccio’, l’irruenza necessaria alla famiglia per ottenere ciò che
desidera e Mayer (interpretato magistralmente da Massimo Popolizio), la
‘patata’, il più giovane dei tre, ignorato dagli altri due fratelli, ma capace di creare un lavoro nuovo (il mediatore) che proprio i Lehman Brothers porteranno in America. Con la sua autoironia e la capacità di trovare una soluzione che
possa accontentare i due fratelli, Mayer metterà le basi per la svolta che
trasformò i Lehman da commercianti in cotone a 'commercianti in denaro'.
Ma
come ci racconta Stefano
Massini (uno degli autori
contemporanei più interessanti nel teatro italiano, succeduto a Luca Ronconi
come consulente artistico del Piccolo e vincitore proprio con Lehman Trilogy del premio Ubu) si va oltre la saga familiare: «studiando [la storia dei fratelli Lehman NdC] mi
resi conto che era molto più importante raccontare cosa era morto insieme a
quel marchio. È come se un passante si trovasse ad assistere a un corteo
funebre: non sentirà alcun trasporto se il defunto è un estraneo. Io tento di
informare il pubblico su chi è stato sepolto sotto la lapide con su scritto
Lehman, e questo illumina in modo del tutto diverso la stessa cerimonia
funebre». La morte è un attore sempre presente sul palcoscenico di Lehman Trilogy. Che sia fisica, etica,
spirituale poco importa, la morte è lì ad assistere alla costruzione delle piramidi di monetine che i fratelli
Lehman impilano, sempre più alte, sul palcoscenico. Anche il pubblico
la percepisce muoversi in mezzo agli altri attori, in attesa di agire. Cosa è stato così potente da renderla invisibile ai
fratelli Lehman?
La
risposta non è così banale come potrebbe sembrare. Il denaro, sì, il potere che
da esso deriva, anche, ma c’è qualcosa di più. La pretesa di essere
intoccabili. Commentando il lavoro di Massini, Sergio Romano, ricorda un
passaggio del testo in cui i due fratelli Lehman sono intervistati da Charles
Dow, futuro fondatore del Wall Street
Journal e ideatore dell’indice Dow Jones. Dow chiede ai due fratelli come
funziona la loro banca, ma è Philip, figlio di Emanuel e nipote di Mayer, a
rispondere: «non ho il timore di dirle che siamo commercianti in denaro. Ma
chi, come noi, ha una banca, usa i soldi per comprare i soldi, vendere i soldi,
prestare i soldi e scambiare i soldi». Romano si interroga sull’evoluzione di questo
processo: stampare i soldi? Ma la differenziazione è andata ben oltre, portando
le banche a proiettare ologrammi di soldi mai esistiti.
Mentre
i Lehman Brothers si muovono sul
palco, narrando attraverso il testo di Stefano Massini le loro stesse gesta (il
dialogato in questo testo teatrale è quasi inesistente e questo giova
inaspettatamente al ritmo narrativo), non possiamo evitare di domandarci: cosa
avremmo fatto se ci fossimo trovati al posto dei fratelli Lehman? Avremmo retto all’illusione
dell’onnipotenza monetaria?
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