La selva oscura di Nicole Krauss è anche la nostra


Sono particolarmente affezionato al marchio editoriale Guanda. In sua compagnia ho incontrato autori cui sono rimasto legato da profonda riconoscenza per essersi cimentati, senza compromessi, con la ricerca più difficile e cruciale per un essere umano: quella di se stesso. Una ricerca insistente e impietosa, a prescindere da quello che porterà alla luce. Anche Selva oscura, il nuovo romanzo di Nicole Krauss (appena pubblicato da Guanda, nella traduzione di Federica Oddera), non si sottrae a questo paradigma, preparando un viaggio in una selva disegnata da un appassionato seguace dell’autoanalisi freudiana che alterna la lettura di Kafka a quella del Talmud. Il risultato è un prezioso marchingegno letterario che si muove su due binari paralleli: la terza persona, con cui il narratore ci racconta la storia di Jules Epstein, ricchissimo e volitivo avvocato ebreo che senza alcuna ragione apparente decide di liberarsi di tutti i suoi averi (nonché della famiglia) per sparire nel nulla, e la prima persona, con cui una scrittrice americana ebrea di Brooklyn racconta la sua fuga dal matrimonio e da se stessa.



Le due vite si sfioreranno in un albergo a Tel Aviv, sorta di passaggio segreto emozionale, dove Epstein è stato visto per l’ultima volta e la scrittrice cerca un’ispirazione per una storia che sente di dover narrare, senza conoscerne confini e personaggi. In perfetto stile kafkiano (l’autore de La metamorfosi è richiamato più volte nel romanzo, fino ad apparire come presenza indagatrice nella stanza della scrittrice), il romanzo della Krauss si confronta con i demoni che ognuno di noi nasconde nelle selve della propria mente e lo fa senza sconti per aspirazioni, sogni, valori e punti “fermi” che ci ostiniamo a conficcare nella vita a dimostrazione della nostra capacità di controllarla.


La Krauss non dà soluzioni per i travagli interiori dei personaggi e in questo sta la forza della sua narrazione che si concede, a volte in maniera un po’ auto-celebrativa, di lasciare il campo ai flussi di coscienza (a cominciare da quello della scrittrice, con cui la Krauss condivide età, origini, situazione familiare e turbamenti). Flussi che si rincorrono durante la narrazione come onde del Mediterraneo alla ricerca di una risacca in cui sparire.


Selva oscura è anche uno scrigno di conoscenza e di citazioni (più o meno palesi) estratte dalla cultura e dalla letteratura ebraica, che permette ai lettori di provare a immedesimarsi nelle contraddizioni e nelle ferree incertezze degli ebrei contemporanei. Uomini e donne che si confrontano con i dogmi di una cultura che li costringe a resistere, sempre e comunque, a prescindere dai loro desideri. Questo li fa sentire sempre un po’ a “parte” rispetto a “tutti gli altri” di cui invidiano e cercano l’apparente attitudine alla felicità, come direbbe Kafka: «Quando sono in mezzo a loro non sono felice, ma sulla soglia della felicità». Eppure questa tensione continua a ciò che potrebbe essere (e forse non sarà mai) non erode di un solo granello la speranza che si riverbera inalterata dai personaggi di Kafka a quelli della Krauss: «il mero raggiungimento della soglia richiede una predisposizione alla speranza e a un intenso desiderio. La porta esiste. C’è un modo per salire o per passare al di là».


Selva oscura è un romanzo che pretende attenzione e messa in discussione di se stessi, ma ripagherà il lettore con guizzi narrativi inattesi di grande bellezza, con cui la Krauss aprirà finestre temporanee su altre versioni dei suoi personaggi, legittimate a chiedere uno spazio tutto per loro, uno spazio che non esiste e che pure apparirà necessario per rivelare le infinite vite alternative che nascondiamo in noi stessi e che potremmo un giorno liberare con un volo inaudito di farfalle arancioni in una notte di luna piena.
L’invito allora, mentre leggerete Selva oscura, è di lasciarvi liberare, anche se questo porterà con sé un profondo senso di dolore e di malinconia cui non eravate preparati (quando lo si è?). Lasciate che questa emozione si depositi, «continua, lieve e ininterrotta, come se dentro di voi scendesse la neve».

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