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Visualizzazione dei post da marzo, 2017

Bestie di scena e non secondo Emma Dante, in scena al Piccolo di Milano

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Immaginate di entrare al Teatro Piccolo di Milano. Mi riferisco alla sede ‘nuova’ di Largo Greppi, quella intitolata a Giorgio Strehler (inaugurata alla fine degli anni ’90 per ampliare l’offerta del primo teatro stabile d’Italia). Ci accoglie con la sua cubica presenza, ricoperto di mattoni pieni, come molte chiese ambrosiane che si nascondono nelle anse modaiole e design-centriche del quartiere Brera. All’interno il sipario è aperto su un palcoscenico senza fondali, solo le quinte nere come la pece e un gruppo di attori in tuta e scarpe da ginnastica che si sta riscaldano con esercizi rubati a una lezione di cross-fit. È questo il primo impatto con il nuovo spettacolo di Emma Dante, che ha debuttato al Piccolo con il titolo Bestie di scena . Il pubblico, un po’ disorientato, si siede, iniziando a trafficare con programmi, giornali e smartphone, refugium peccatorum dell’ansia da contatto umano del XXI secolo. Anche gli attori ignorano il pubblico, concentrati sui pas

Rosencrantz e Guildenstern sono ancora vivi. Parola di Harry Potter.

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Cinema e Teatro incrociano spesso le spade, cercando di dimostrare che solo a uno dei due spetta la supremazia sulle emozioni del pubblico. È una sfida che prescinde dagli incassi o dalla fama (il Cinema avrebbe già vinto da decenni), il perno della lotta qui è più profondo, in gioco ci sono le anime degli spettatori che il Teatro ha sempre dichiarato di saper sfiorare con una delicatezza e una ‘verità’ che al Cinema manca. Colpa dello schermo che separa attori dal pubblico, della possibilità di rifare una scena mille volte prima di esporsi al giudizio altrui, dell’assenza di rischio su cui invece il Teatro si fonda. Non ci interessa sapere chi vincerà la battaglia, anche perché è auspicabile che non abbia mai fine. Da essa sono nati testi che hanno impressionato, in senso fotografico, la nostra corteccia celebrale per sempre.  Uno di questi è Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard (‘britannicissimo’ drammaturgo nato nell’ex Cecoslovacchia nel 1937 con

Le montagne di Paolo Cognetti

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Mentre leggevo Le otto montagne di Paolo Cognetti e mi imbattevo in nomi di monti, valli, massicci come Catinaccio, Sassolungo, Tofane, Marmolada, Macugnaga, Alagna, Ayas, Grana, iniziando a prendere confidenza con ghiacciai, camosci, stambecchi, notti in bivacco, cieli stellati e neve che cade fitta anche in agosto, mi ronzava nella testa una frase che ho letto parecchi anni fa in un racconto di Alice Munro. Non ricordo il titolo del racconto, ma la frase mi è rimasta appiccicata alle sinapsi come gomma da masticare: “ Ci sono pochi luoghi in una vita, forse persino uno solo, in cui succede qualcosa; dopodiché ci sono tutti gli altri luoghi ”. Ecco, Paolo Cognetti uno dei suoi ‘pochi luoghi’ l’ha trovato. Lo dimostra con la storia di Pietro, un ragazzino che scappa con i genitori da una Milano anni’70 fatta di fiumi sotterranei (come l’Olona che ancora oggi scorre sotto i viale alberati del capoluogo lombardo) e fiumi di superficie «di auto, furgoni, motorini, camion, autobu

Breaking News di mezzanotte: il nuovo libro di Haruki Murakami

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Tokyo, 24 febbraio 2017, breaking news in un notiziario . Un uomo vestito con un abito azzurro e un sorriso smagliante, come il fazzoletto che ha nel taschino, fissa la telecamera come se si fosse appena accorto che qualcuno, per un oscuro motivo, lo sta filmando. Accanto a lui una donna con un vestito rosa confetto dello stesso colore della sua pelle, anche lei fissa la telecamera che ha di fronte con uno sguardo perso. Sembra non poter credere all’immagine che la retina restituisce al cervello. Eppure entrambi continuano a parlare con tono pacato.   Io che sono dall’altra parte dello schermo, posso tentare di interpretare il loro messaggio solo dal linguaggio del corpo, il mio giapponese è davvero pessimo, e per questo rimango ancor più spiazzato. In mente ho l’ansia vorace di Chicco Mentana, che fa pensare a una tanica di bagnoschiuma concentrato lanciato sotto il getto di una cascata, non basterebbe un televisore da 60 pollici a contenere la sua felicità per una b