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L’ultimo atto del signor Beckett

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Entrare nella mente di Samuel Beckett è il sogno di chiunque abbia assistito alla messa in scena di una sua opera. Un’immaginazione così divergente e inarrestabile da trasformare il silenzio più oscuro e denso dell’animo umano in un palcoscenico di voci interiori che danno corpo alle domande schivate per una vita.  Aspettando Godot, Finale di partita, L’ultimo nastro di Krapp  e (il mio testo teatrale favorito)  Giorni felici  (ricordo la  messa in scena di Bob Wilson  con una Adriana Asti in stato di grazia al Festival dei due mondi di Spoleto) ci costringono a osservarci, mentre sguazziamo nel quieto vivere, sotterrati fino al collo dalle nostre paure, aspettando un salvatore esterno che non esiste . Per questo, quando la giornalista francese  Maylis Besserie  ha esordito con il romanzo  L’ultimo atto del signor Beckett  (pubblicato in Italia da Voland nella collana  Amazzoni  e tradotto da Daniele Petruccioli), in cui racconta gli ultimi giorni di Samuel Beckett nella casa di ripo