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Visualizzazione dei post da ottobre, 2016

La prima volta di un americano al Man Booker Prize

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L’anno scorso era toccato a Marlon James con il suo A Brief History of Seven Killing, Breve storia di sette omicidi  (Frassinelli) riuscire, da perfetto outsider, a vincere il Man Booker Prize, il più blasonato tra i premi britannici dedicato ai romanzi in lingua inglese. James aveva dovuto sopportare ogni genere di rifiuto (secondo l’autore ben 78 dinieghi) prima di riuscire a pubblicare il suo libro con una piccola casa editrice indipendente. Un romanzo lunghissimo (668 pagine) e intricatissimo (con ben 75 personaggi, ambientato a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 del Novecento in Jamaica), una storia lontana anni luce dalla ricetta di un buon bestseller : ritmo che non lasci il tempo di fermarsi a riflettere, struttura semplice, pochi personaggi, scrittura così lineare da apparire a volte asettica, una trama in cui sia facile per il lettore trovare delle assonanze con la propria vita. Tutto si può dire di A Brief History of Seven Killing tranne che risponda a queste regole. Eppure,

68esima Buchmesse di Francoforte: pensare high-tech è un requisito fondamentale per un editore

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Oggi si conclude la 68esima edizione della Buchmesse (dal 19 al 23 ottobre), la fiera internazionale del libro di Francoforte, che, a ragione, si autodefinisce “la più importante fiera internazionale del settore” e di certo può reclamare questo titolo in Europa dove, con i suoi 7.100 espositori provenienti da oltre 100 paesi e i suoi 275.000 visitatori annui (Torino nel 2016 ha avuto poco meno di 1.000 espositori e circa 100.000 visitatori), rappresenta da anni un punto di riferimento immancabile per chiunque lavori nel settore editoriale. E mentre in Italia Milano e Torino si litigano il primato per la fiera del libro più importante, la Buchmesse prosegue nel suo percorso di innovazione, con tutta una serie di eventi connessi alla fiera che cercano di esplorare modi diversi di fare editoria, a cominciare da The Markets - Global Publishing Summit , che si è tenuto a Francoforte il 18 ottobre, evento in cui 300 executive di altrettante realtà editoriali sparse per il mondo

Bob Dylan, il Nobel e la zattera che tutti (segretamente) aspettiamo

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Chissà cosa avrebbe pensato Alfred Bernhard Nobel nello scoprire che 120 anni dopo la sua morte, il premio che prende il suo nome sarebbe diventato un evento importante per i bookmaker di tutto il mondo.  Molti mesi prima della scelta dei vincitori, che avviene fra settembre e ottobre di ogni anno, con ulteriore strascico a dicembre per il Nobel per la pace, si inizia a scommettere su chi vincerà nelle varie categorie previste dal premio, a cominciare dalla Letteratura. Così le liste dei possibili vincitori, che un tempo servivano a scaldare conversazioni da salotto, oggi animano per mesi la Rete, fino a diventare, a pochi giorni dalla proclamazione, onnipresenti.  1 a 16, 1 a 4, 1 a 60, autori come Don DeLillo , Philip Roth e Haruki Murakami , vengono spolverati a ogni edizione e le loro quotazioni lentamente e prevedibilmente salgano, man mano che il gran giorno si avvicina. Ancor di più se, come è avvenuto quest’anno, la giuria del premio è tutt’altro che concorde nella

Eccomi. La ricerca della felicità secondo Jonathan Safran Foer

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Dopo undici anni di attesa è uscito a settembre in Italia (qualche giorno prima che in USA) il terzo romanzo di Jonathan Safran Foer: Eccomi. Urla, scalpiccii, mani che battono furiose. Le tavole del teatro milanese Franco Parenti rimbombano all’arrivo dell’autore in una delle tappe italiane del tour promozionale organizzato dal suo storico editore (Guanda), come se fossimo all’Albert Hall a Londra e non volessimo proprio lasciare andare l’orchestra che conosciamo e ci ha deliziati per ore. All’unisono battiamo un piede contro il legno del pavimento in un plotone di entusiasmo che sbriciola ogni resistenza. «Eccoci», sembriamo dire, mentre ci giriamo a osservare un uomo magro, ex ‘enfant prodige’ della letteratura statunitense, oggi scrittore maturo, che passa velocemente in mezzo a una piccola folla di lettori devoti, come se cercasse qualcosa in terra con quegli occhiali d’osso fin troppo tondi e non fosse ancora a suo agio con la barba (ma c’è ancora qualche uomo che

Riscrivere Shakespeare: una prigione secondo Margaret Atwood

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La Tempesta di William Shakespeare non è stato la prima opera del bardo che ho scoperto, prima è venuto Amleto e la sua abilità superiore a mettersi in difficoltà e in discussione, poi Romeo e Giulietta di cui ho amato e invidiato più di tutti Mercuzio e la sua severa lealtà oratoria, Molto rumore per Nulla con le geniali giravolte verbali di Benedetto e Beatrice, Il mercante di Venezia , cui collego orfiche esperienze adolescenziali di immedesimazione col vituperato Shylock e il suo desiderio di vendetta (giustizia?). La Tempesta mi si è parata innanzi solo in età matura, era il World Shakespeare Festival del 2012 a Stratford-upon-Avon. Certo, avevo già visto messe in scena de la Tempesta , a partire da una spettacolare edizione al Globe londinese con un’ieratica Vanessa Redgrave a impersonare Prospero, ma non ero mai davvero entrato in questo testo che, più di tutti i suoi predecessori, incastra teatro nel teatro, giocando fra illusione e realtà, quasi a convincer