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Visualizzazione dei post da luglio, 2016

"Design should make the known become unknown", il punto di vista di Kenya Hara

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Per l’ultimo post prima della pausa estiva non potevo che proporvi un viaggio, questa volta nel tempo. Immaginate di salire una grande scala di marmo bianco, tutto intorno luce e ali di carta che costeggiano un corridoio sospeso che vi incita a scoprire il contributo femminile al design italiano, state per percorrerlo, per capire se vi porterà in un luogo disegnato dalla mente di Lewis Carroll , poi una foto appare a sovrastarvi: due uomini vi guardano. Il loro corpo è una macchia nera indistinta da cui spuntano solo le mani e la testa, come se sotto i loro maglioni a collo alto, i loro pantaloni, persino le loro scarpe (di cui non si riesce a distinguere il contorno, divorato dal pavimento nero su cui sono appoggiate), ci fosse solo vapore.   Vapore che si muove alla ricerca di una via d’uscita , vapore che potrebbe trovarla attraverso i loro occhi e entrare nei vostri. Sopra le loro teste un titolo spicca in bianco: Neo-Prehistory – 100 verbs , sotto le loro

Valentino Zeichen e la morte della sensibilità?

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Sensibilità, da qui partiva Valentino Zeichen, « poeta occasionale », per raccontare se stesso in un’intervista a Repubblica del 2014 e da qui vorrei partire per ricordare, a distanza di qualche settimana dalla sua scomparsa, lo scrittore e l’uomo che ha fatto della difesa di questo modo di percepire la realtà, lontano dal cappotto di disponibilità, educazione e solidarietà con cui sarebbe bene coprire le nostre vergogne emotive, la sua personale battaglia. Siamo già molto lontani dal clamore e dalle dichiarazioni che si sono accese per la sua malattia prima e per la sua morte poi, clamore che si è consumato come una miccia di una bomba silenziosa che esplode assorbendo le parole che andavano spese per il poeta scomparso e che pure molti avevano smarrito con facilità quando l’uomo era ancora vivo.  Quanto materiale per il poeta che aveva fatto dell’ascolto una forma d’arte, facendo sua una delle regole più importanti di uno scrittore: ascoltare, ascoltare sempre, poiché in og

Ritrovarsi fra i personaggi di John Maxwell Coetzee

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Una pioggia cattiva.  È  questo il primo ricordo di quella giornata. Bagnato fin dentro l ’ anima entro nel foyer di un teatro milanese. In mano stringo un libro, forte. È  un libro piccolo, poco pi ù  di cento pagine, la storia di un ragazzo che cerca di racchiudere in s é  almeno due vite e seguirle in parallelo. Tutto sembra andare bene, finch é   accade qualcosa e lo specchio che il giovane nasconde sotto il bavero del buon senso altrui, esce allo scoperto e gli fa vedere a cosa sta rinunciando. Il titolo del libro  è  Giovent ù , l ’ autore   è  John Maxwell Coetzee . Non  è  il pi ù  famoso fra i suoi libri, il pi ù  premiato o il pi ù  apprezzato dalla critica. Se chiedessimo ai lettori di Coetzee di ricordare un suo titolo sentiremmo citare  Vergogna, Elizabeth Costello, Aspettando i barbari.  Tutti romanzi importanti, solidi, espressione dell ’ acume narrativo di Coetzee. Eppure  è  Giovent ù  che mi vedo stringere fra le mani a trent ’ anni, quando t

L’autonomia della tartaruga: autobiografia di una femminista distratta di Laura Lepetit

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In un pomeriggio bollente in cui il monolito mattonellato del teatro Piccolo di Milano sembra un miraggio prodotto dalla mente di un seguace di Escher e le strade di Brera, deserte e dense di silenzio, sembrano pronte a una sfida da O.K. Corall, salgo le scale di un antico palazzo di Corso Garibaldi.  Fra parquet a spina di pesce e soffitti a cassettoni, la Fondazione Adolfo Pini ospita il circolo dei lettori fondato da Laura Lepri (storico editor del panorama milanese, docente di scrittura creativa  e autrice di uno dei più interessanti testi sulla storia dell’editoria in Italia ). Un luogo che è diventato, in pochi anni, un punto di riferimento per lettori che non si accontentano della ‘storia’ narrata dallo scrittore, puntando a comprendere cosa c’è dietro. Un posto dove il dialogo fra lettori, editori e scrittori è continuo e dove qualche giorno fa si è svolto un incontro fra Laura Lepetit (fondatrice della casa editrice La Tartaruga), Liliana Rampello (critica letterari

Qualcosa è cambiato? Manie e speranze del libro italico

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Era lo scorso dicembre ed ero a Stratford Upon Avon, vorrei dire a percorrere i sentieri del bardo in occasione dei 400 anni dalla sua scomparsa, ma di fatto ero lì per discutere di interculturalità e dei suoi tanti vantaggi con persone che di lì a pochi mesi si sarebbero pronunciate sull’uscita dell’UK dall’Unione Europea, facendo della questione mera semantica. Ovviamente non si poteva lasciare il suolo britannico senza un giro fra le sue librerie. E lì, messo in bella mostra su una mensola di quercia, riconosco il nome stampato sulla copertina di un romanzo ( The story of lost child ) che raffigura paesaggi partenopei.  Avete indovinato, parliamo di Elena Ferrante che dopo essere diventata un caso in Italia, ha abilmente superato confini e fili spinati che oggi li presidiano, arrivando non solo in UK, dove il serio e composto Guardian si è esposto sui libri della Ferrante («You could spend your life rereading these books, and continually find new aspects of them to specul