Diseguaglianza e ingiustizia sono insostenibili. Dialogo con Grammenos Mastrojeni

Siamo a Piazza Euclide a Roma per incontrare Grammenos Mastrojeni e per parlare di ambiente. Chi ha letto il suo ultimo libro L’Arca di Noè  sa che le idee di questo diplomatico italiano, che ha insegnato soluzione dei conflitti all'Università di Ottawa ed è sostenitore del Climate Reality Project fondato da Al Gore, non sono cambiate, fin da quando negli anni Novanta iniziò a parlare di interdipendenza fra ambiente, economia e politica, portando avanti la tesi che la riduzione delle emissioni di CO2 nell'atmosfera non fosse solo sostenibile, ma necessaria per salvare il sistema Terra così come lo conosciamo e fonte (e qui la svolta) di uno sviluppo sociale ed economico più importante e duraturo di quello che avremmo proseguendo con l'attuale sfruttamento del pianeta. Difficile da credere?
Bene, per dimostrarci la sua tesi, Grammenos Mastrojeni ha accettato un incontro per parlarci della “sua” Arca e di come ognuno di noi può contribuire a questo cambiamento di approccio.
Il suo libro parte dal principio dell’interdipendenza globale, dimostrando che il degrado ambientale non danneggia solo balene, pinguini e api ma porta al collasso dell’eco-sistema nella sua complessità e sarà il preludio a guerre e carestie, arrestando lo sviluppo degli esseri umani.  È da questo che deriva il titolo (L’arca di Noè)? Siamo tutti sulla stessa barca, ma non ci siamo accorti che il diluvio è già in corso?
Siamo alla prima avvisaglia del diluvio, ma sta per piovere sul serio. Siamo molto vicini a un punto di svolta, le previsioni del mondo scientifico dicono che ci potrebbe essere un tracollo sistemico già nel 2030. Abbiamo quindi poco tempo, ma non è troppo tardi, soprattutto perché la gente comincia a reagire. Questo libro nasce dalla voglia di scrivere un testo che possa arrivare non solo a chi conosce il tema ambientale, ma soprattutto a chi ignora a questo argomento. Per far toccare con mano con esempi concreti quello che sta accadendo al mondo intorno a noi, ho fatto un lungo lavoro di semplificazione del linguaggio tecnico per evitare che questo diventasse l'ennesimo saggio di 700 pagine che avremmo letto in venti. 

Werner Herzog

Mi ha colpito molto il riferimento agli aborigeni australiani che considerano sacro il luogo dove, secondo la loro tradizione, le formiche verdi vanno a sognare e mi ha fatto pensare al film ambientalista di Werner Herzog del 1984 che raccontava proprio di questi aborigeni e di come abbiano tentato inutilmente di difendere la propria terra e l’equilibrio che con essa avevano creato contro una compagnia petrolifera. Esistono ancora dei difensori di formiche verdi nella nostra società e chi sono?
Ci sono dei difensori. Tutti quelli che diventano consapevoli di questa situazione. Oggi abbiamo molte inattese formiche. Papa Francesco è un formicone inatteso, perché tre settimane fa ha riunito i maggiori esperti mondiali sull'ambiente alla ricerca delle connessioni fra uomo e ambiente. Certamente Obama si è battuto per far passare messaggi che portano verso la complessità e la circolarità. Mentre in passato era legato a particolari ambiti oggi si è capito che il tema ambientale non è un problema di classe ma collettivo. 
E chi attacca i formiconi?
C'è una forte resistenza dei conservatori americani.
Parliamo dei grandi gruppi industriali degli USA che vedono minacciati i loro guadagni connessi allo sfruttamento diretto o indiretto dei combustibili fossili?
Questo tipo di realtà ha già somatizzato il tema, trasformandolo in un’opportunità di business futuro. No, qui parliamo del cuore antico dell'America del Midwest che non riesce a identificarsi con le responsabilità collettive e di solidarietà che spingono per questa trasformazione. È un blocco culturale, connesso alla cultura calvinista e individualista del sistema capitalistico americano (e non solo), che vede nella remunerazione economica degli investimenti l'unico elemento tangibile del successo di un individuo. Sarà importante lavorare con i media per far capire alle persone l'importanza di cambiare questa posizione. Ma temo possa arrivare prima una sberla ecologica a far loro cambiare drasticamente approccio, sebbene abbiano già subito siccità e alluvioni devastanti.
Che sberla ci dobbiamo aspettare se nulla sarà cambiato?
La disgregazione della società umana. Il mondo scientifico ha certificato che siamo già in mezzo alla sesta estinzione di massa della storia di questo pianeta. E sebbene non sia ripresa dai media, questa è la realtà delle cose. Con due differenze rispetto alle prime cinque estinzioni di massa: la prima è che è stato l'uomo a causarla in questo caso e non un evento esogeno imprevisto e traumatico e la seconda è che questa estinzione procede a ritmi che sono da mille a diecimila volte più rapidi rispetto alle estinzioni precedenti.
Quali sono i sintomi che possiamo riconoscere?
Ci sono centodieci specie animali che perdiamo ogni giorno. Ma se della scomparsa dell'orso polare e del panda ci accorgeremmo subito, dubito che ci accorgeremmo della sparizione di una specie di insetti “minori” o di microorganismi, eppure la loro rilevanza nell'ecosistema non è inferiore. Pensiamo alla ricerca Planetary Boundaries di Johan Rockström che individua i settori in cui abbiamo ucciso maggiormente. Esaminiamo per esempio la biodiversità oceanica e l'acidificazione degli oceani, “il fratello malvagio” dell'inquinamento climatico. La concentrazione della CO2 che immettiamo nell'atmosfera penetra in acqua e la acidifica, rendendo sempre più difficile la sopravvivenza del fitoplancton la creazione dei suoi endoscheletri ed esoscheletro calcarei. Questi organismi si adattano, come noi, all’inquinamento, ma arriva un punto preciso in cui questa capacità cesserà e quindi sparirà la base della catena alimentare degli oceani e ci ritroveremo con vasche giganti di pesci morti, infestate da alghe. Se noi inneschiamo queste mutazioni, ci ritroveremo a fare i conti con aumenti della temperatura media fra i 6 e gli 8 gradi e con l’impossibilità di fare coltivazioni e quindi con una forte carenza di cibo e ben presto dovremo gestire un miliardo di persone in marcia in cerca di cibo. Noi potremo essere fra di loro e non lo faremo in maniera pacifica.
Lei ha proposto un diverso sistema di misurazione della ricchezza e dello sviluppo di un Paese. Perché dovremmo “lasciare a casa” il PIL?
Perché non è solo un’esigenza del Pianeta ma anche di chi lo controlla. È già diventata una scelta ufficiale. Il segretario delle Nazioni Unite ha lanciato un esercizio che si chiama Data Revolution, un progetto che punta a darsi degli strumenti che permettano di misurare la crescita e la performance di un paese non solo in termini monetari. Il presidente di questo gruppo è un italiano: Enrico Giovannini (Presidente dell'ISTAT). Il progetto nasce dall’idea che quello che è redditizio economicamente non è detto che lo sia dal punto di vista sociale e umanitario. Non sarà facile e non sarà veloce, ma non penso che si possa fermare questa evoluzione perché è diventata un tema ufficiale e sentito trasversalmente.
Giacomo Leopardi
Leggendo il suo libro, ho pensato al Dialogo della Natura con un islandese all’interno de Le operette Morali di Leopardi. Lei però sembra invertire i ruoli. Mentre nel dialogo leopardiano è la Natura ad ascoltare passivamente l’uomo, sicura di poter continuare a prosperare indipendentemente dalle scelte dell’uomo, nel suo libro è la Natura a cercare di farsi ascoltare da un essere umano passivo, convinto di poter crescere all’infinito senza conseguenze.  Siamo davvero così indifferenti al futuro?
La Natura ci sta mandando un messaggio che si spiega in termini di coevoluzione. Ci chiama a riequilibrare le fibre di un sistema che abbiamo squilibrato lucrandoci sopra. Ciò che è eccezionale nel suo messaggio è che ci dice che non è la crescita a essere insostenibile né l'espansione demografica, ciò che è davvero insostenibile è la diseguaglianza e l'ingiustizia. La Natura sembra dirci che se ci adopereremo perché ognuno di noi abbia la libertà di vivere e di essere rispettato, lei ci inonderà di abbondanza, se invece continueremo a investire le nostre energie per tenere in piedi un sistema basato sulla sperequazione sociale lei non reggerà. La Natura è sufficientemente ricca per sostenerci se ci fosse una corretta distribuzione delle risorse.  È importante capire e credere che tutti noi possiamo fare qualcosa per modificare questa situazione. Se banalmente usassimo un po' meno le automobili saremmo più in salute, vivremmo immersi in un ritmo di vita più “umano” e libereremmo una quantità enorme di risorse che altri potrebbero utilizzare.   Io ho due bambini di dieci e dodici anni. Quando loro avranno trenta anni il mondo potrebbe essere  quello descritto da film come Mad Max. Lo sappiamo, lo abbiamo capito, sappiamo come potremmo evitarlo e non facciamo nulla?

L’Arca di Noè che ci descrive Grammenos Mastrojeni ha davanti a sé una navigazione tutt’altro che tranquilla, spetta anche a noi darle una possibilità.  E a proposito, io dall’incontro con Mastrojeni sono tornato a casa con i mezzi pubblici. 


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