Il mago del Cremlino – una guida al pensiero russo

Nel 2022 Vladimir Putin è diventato una presenza quotidiana nelle nostre vite. Cosa ha in mente? Quali sono i suoi obiettivi? È pronto a scatenare una guerra nucleare o gioca sulla paura dei suoi avversari? Ma soprattutto, come fa a mantenere il controllo di una nazione che sta assistendo a un incremento del livello di povertà senza precedenti a causa delle scelte del suo leader? 



A rispondere a queste domande prova Giuliano da Empoli, professore di politica comparata a Parigi, che con Il mago del Cremlino (Mondadori) integra le sue capacità di saggista, ricordiamo il suo Gli ingegneri del caos, con quelle da romanziere, offrendo al lettore la storia di Vadim Baranov, fantomatico consigliere di Putin e costruttore di quella fake democracy che ha visto proprio in Putin in Russia e in Trump in USA i suoi massimi e deleteri esponenti. 

La storia di da Empoli prende le mosse da un viaggio dell’io narrante in Russia per studiare l’opera di Evgenij Ivanovič Zamjatin (scrittore russo che criticò il regime comunista sovietico e per questo finì i suoi giorni a Parigi in miseria, famoso per il romanzo distopico Noi, che ha fornito ispirazione per il lavoro di Huxley e Orwell). Sarà proprio la passione per Zamjatin a fargli conoscere l’uomo che ha trasformato un mediocre funzionario del KGB nel nuovo e inamovibile zar della Russia.

In una notte moscovita, una delle tante auto scure ferme a un incrocio con il motore acceso porterà l’io narrante in una villa dove l’aspetta Vadim Baranov, pronto a raccontare tutta la sua vita. 



E se l’incidente scatenante che stravolge la vita dello studioso di Zamjatin, portandolo al cospetto di uno degli uomini più pericolosi e sfuggenti del regime putiniano, può apparire debole, incardinandosi sulla passione comune per un autore messo al bando dal regime sovietico, nonché sull’imponente egocentrismo del consigliere dell’uomo più narcisista della Russia, il lettore è disposto a chiudere un occhio, in cambio di un accurato e dettagliato racconto dell’ascesa di Vladimir Putin e delle ragioni sociali e culturali che lo hanno incardinato ai vertici del governo del suo Paese.


Il mago del Cremlino è una biofiction che si concentra sulla figura di Baranov, questo novello mentore che tenta di guidare il suo Principe fra le insidie del mondo della comunicazione globale, ma che presto scoprirà di essere una delle tante pedine che questo moderno zar ha usato per raggiungere il suo scopo: la creazione di una dittatura democratica, ossia acclamata a gran voce dal popolo alla ricerca dell’uomo forte che risolverà tutti i loro problemi senza chiedere in cambio sacrifici. 

Grazie alla storia di Baranov, impareremo anche a conoscere alcune differenze fra la cultura occidentale e quella russa, da non sottovalutare quando si studia il profilo dei suoi rappresentanti. 



Se infatti in Europa i soldi sono spesso la misura del successo di un individuo, per i russi i soldi non contano, ciò a cui tutti puntano è il privilegio. “La vicinanza al potere. Tutto il resto è accessorio. Era già così ai tempi degli zar, e durante gli anni del comunismo ancora di più. Il sistema sovietico era basato sullo status. I soldi non contavano. Ne giravano pochi ed erano in ogni caso inutili: nessuno avrebbe pensato di valutare qualcuno sulla base dei soldi che aveva. Se invece di farti dare la dacia dal partito, la compravi, voleva dire che non eri abbastanza importante perché te ne dessero una gratis. Il punto era lo status non il cash. Chiaramente era una trappola. Perché il privilegio è il contrario della libertà.” 



Un popolo, il russo, che di fronte alla domanda: “quali sono i tuoi eroi?” Risponde: Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Lenin, Stalin. Non Tolstoj, Puskin, Dostoevskij, nemmeno un cantante o un attore, come potrebbe accadere in Occidente. Solo nomi di dittatori, un gruppo di autocrati sanguinari. È da qui che possiamo iniziare a cercare le radici che hanno portato il popolo russo ad acclamare un nuovo zar. Un uomo che viene scelto per succedere a Eltsin da un gruppo di plutocrati che pensano di aver trovato un burattino attraverso cui esercitare il loro potere. Non si rendono conto che invece stanno spianando la strada a un uomo capace di far esplodere interi palazzi di moscoviti innocenti alla fine degli anni ’90 per generare quel terrore nei confronti dei terroristi ceceni davanti cui si ergerà poi come unica linea di difesa. Perché si esasperi il bisogno di un uomo forte al comando, il popolo deve percepire il pericolo, un pericolo letale e vicino. E se questa mossa porta uno sconosciuto Putin a vincere le elezioni presidenziali al primo turno, non può che consolidarsi in lui l’idea dell’efficacia di questa strategia. Servono quindi nuovi nemici: gli occidentali. Quegli occidentali che non hanno apprezzato il lavoro della Russia per liberare il mondo. È stata la Russia agli occhi di Putin a far cadere il muro di Berlino, la Russia a rendere possibile lo scioglimento del patto di Varsavia e a tendere la mano verso l’Occidente in segno di pace. In cambio i russi avrebbero chiesto solo di essere trattati alla pari, richiesta che l’arroganza degli americani e degli europei ha rimandato al mittente. Ancora una volta lo status e non il cash, che pure l’Occidente ha riversato in Russia (nelle mani di pochissimi), fa la differenza. 



Da Empoli guida così il lettore attraverso gli ultimi trent’anni di storia russa, aiutandoci a immedesimarci in un punto di vista che non sarebbe poi così lontano dal nostro, se avessimo vissuto la fine dello scorso secolo a parti invertite. 



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