L’ansia del fare di Hemingway e i distillati d’autore.

Nel 1922 negli Stati Uniti muoveva i suoi primi passi una rivista che avrebbe, nel bene e nel male, aiutato la classe sociale con livello di istruzione più basso ad avvicinarsi ai classici della letteratura americana. Parliamo di Reader’s Digest. Nata da un’idea dei coniugi Wallace, che crearono una loro personale rassegna stampa per le famiglie americane che permetteva di tenere in mano (il formato della rivista era più piccolo di quello delle altre in commercio, da qui il nome ‘digest’, letteralmente sommario, riassunto) una sintesi di tutte le notizie che arrivavano dal mondo, in sette anni la rivista aveva raggiunto 290.000 abbonati ed era distribuita in tutto il Paese. Col tempo la rivista divenne una casa editrice e iniziò a pubblicare nel 1950 versioni riassunte dei grandi romanzi americani da Faulkner a Steinbeck, da Harper Lee a Truman Capote, provando a far avvicinare al libro milioni di persone che non avevano mai avuto la possibilità di dedicarsi alla lettura o che semplicemente ne erano sempre state messe in soggezione. Il progetto ebbe un enorme successo, puntando sulla distribuzione nelle edicole e piccoli chioschi vicini ai luoghi di transito per le migliaia di persone che ogni giorno prendevano treni, metropolitane e autobus per raggiungere il loro luogo di lavoro. 
Il progetto ebbe un tale ritorno in termini di ricavi da varcare rapidamente il confine americano arrivando prima in UK e poi nel resto dell’Europa. Anche l’Italia ricorderà la Selezione del Reader’s Digest che sollevava i lettori nostrani dal problema della scelta del titolo da acquistare inviando a casa la versione predigerita dei romanzi più interessanti del panorama internazionale. 

Facciamo un salto di sessant’anni ed eccoci nel 2016, le edicole esistono ancora e anche i libri che si trovano esposti in bella mostra per attirare i viaggiatori che stanno per salire su un treno che li porterà a casa dopo una lunga giornata lavorativa. Certo, ora sono davvero in pochi quelli che si fermano a comprarli. E non perché non si legga più. Nel 2016 si leggerà infinitamente di più del 1950, ma si leggeranno cose diverse. Social, blog, tweet, mail, whatsuppate, annessi e connessi. Si leggerà così tanto che spesso non si avrà più il tempo di parlare con il proprio vicino in treno, ponendo fine a quegli incontri sentimentali, intollerabili o semplicemente noiosi che tanti aneddoti hanno offerto alle generazioni precedenti all’arrivo dello smartphone. Chissà che storia inventerebbe Italo Calvino se dovesse scrivere oggi Se una notte d’inverno un viaggiatore, molti degli imprevisti che l’autore fa accadere al povero lettore-viaggiatore sarebbero da ripensare completamente. 

Questo cambiamento quantico delle abitudini di lettura ha portato con sé la crisi del comparto editoriale e se è vero che nel 2015 (dati Istat) 6 italiani su 10 non hanno mai nemmeno sfiorato un libro, le persone che utilizzano smartphone, tablet e pc sono in continuo aumento e sempre 6 italiani su 10 (sempre quei sei? Curiosità delle statistiche) navigano e navigando leggono. 4 su 10 navigano e leggono ogni giorno con regolarità. Quindi il tema non è se gli italiani leggono, lo fanno eccome, ma  cosa preferiscono leggere. Un romanzo, qualsiasi sia il suo formato o supporto, ha bisogno di dedizione assoluta per il tempo di lettura, nessuna distrazione, bisogna entrare dentro la storia e seguirne il protagonista, dedicandosi a lui e a niente altro durante il tempo di lettura. Il piacere che ne deriverà, soprattutto se ci troviamo fra le mani un romanzo solido per trama e struttura, sarà impagabile, ma non sarà immediato. 

«Quella eccitantissima perversione di vita: la necessità di compiere qualcosa in un tempo minore di quanto in realtà ne occorrerebbe.» Hemingway docet ed Apple non potrebbe che applaudire. E il romanzo? Resta lì a guardare? Per nulla, anzi prende strade inaspettate. A dicembre il Guardian ha pubblicato un articolo, a sua volta ispirato a uno studio sui best seller del New York Times, che ci dimostra che dal 1999 a oggi i romanzi pubblicati in lingua inglese che sono diventati best seller sono il 25% più lunghi dei loro predecessori. 500, 600, 700 pagine divorate da milioni di persone desiderose di allungare a dismisura il loro tempo di lettura a scapito delle ‘facebookate’ lampo.  Lettori che preferiscono, almeno in USA e in UK, romanzi poderosi e se possibile seriali (pensate solo alle 2.000 pagine dei 5 osannati e desiderati volumi del fenomeno da un miliardo di lettori After). Storie che permettono al lettore di rimanere il più possibile immerso nelle atmosfere e nelle sensazioni che i personaggi gli hanno offerto. 


Ancora una volta non sembra esistere una risposta sicura  nel mondo del romanzo. Sempre a dicembre, una casa editrice del gruppo Fabbri - RCS (Centauria) ha lanciato i distillati. Riduzioni alla maniera Reader’s Digest di best seller italiani e stranieri per chi «non legge perché non ha tempo». Ed ecco quindi invertito apparentemente il paradigma del Guardian trasformando volumi di 500 o 600 pagine (che guarda caso sono diventati best seller a dispetto della loro mole) in predigeriti di 200 pagine, eliminando trame, personaggi e descrizioni ‘secondarie’ per «condensare un romanzo nel tempo di un film», come ha dichiarato Giulio Lattanzi di Centauria al Corriere della sera in occasione delle prime due uscite della collana a fine dicembre 2015. Le polemiche su questa scelta sono state molte e il dibattito ha giovato anche al progetto, aumentandone la diffusione. Il claim dei distillati è «abbiamo ridotto le pagine, non il piacere», se questo sia possibile ce lo diranno i lettori, sperando che quelli che si troveranno a leggere questi condensati siano poi così affascinati dalla trama da volersi cimentare con la versione originale ‘lunga’. Ma se si tenta di acchiappare un pubblico di non lettori che ha portato all’estremo la convinzione di Hemingway  sui tempi stretti per fare ogni cosa, davvero si pensa che potranno poi dedicarsi a una seconda lettura che gli offrirebbe solo una serie di sfumature che con la velocità proprio non vanno d’accordo?


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