Tra le infinite cose di Julia Pierpont
Il
cafè dove incontro Julia Pierpont è un piccolo bar con il bancone di marmo e i
tavolini di vimini sul marciapiede, appiccicati gli uni agli altri, come
ombrelloni in una spiaggia ferragostana. La temperatura d’altronde è quella: 34
C° con il 90% di umidità mentre si sta trascinando il penultimo giorno del Festivaletteratura di
Mantova. Qualcuno lassù sembra schiacciare un palloncino di
acqua bollente contro le teste delle persone in attesa che scoppi, ponendo fine
alle loro sofferenze. Sono anch’io in mezzo a loro, in piedi davanti
all’ingresso del café, tentando inutilmente di sventolarmi con la piantina dei
luoghi del Festival, senza rendermi conto che la scrittrice che sono venuto a
intervistare è seduta proprio al tavolino cui mi sto appoggiando per non
scivolare a terra.
Sapevo
di dover incontrare una giovanissima, eppur già famosissima, scrittrice (Julia
Pierpont ha 28 anni), avevo già visto il suo viso fresco e sperso in
fotografia, eppure a trovarsela davanti con i suoi occhi grandi e il sorriso
imbarazzato, sembra ancora più giovane. Per metterla a suo agio comincio da una
citazione che lei stessa ha ripreso in un’intervista al Washington Post:
«Writing
is like driving at night in the fog. You can only see as far as your
headlights, but you can make the whole trip that way». É una frase di E. L. Doctorow che ha
ripreso più volte parlando del suo modo di scrivere. Pensa davvero che creare
una storia sia come guidare nella nebbia, senza mai avere la certezza della
direzione intrapresa?
Sì,
questa frase si adatta molto a me. Quando ho frequentato la NYU [il famoso Creative Writing Program
alla New York University ndc] osservavo stupita molti dei miei compagni di
corso che avevano già molto chiaro dove volevano arrivare con la loro storia e
come. Quando comincio a scrivere non ho un’idea precisa di dove arriverò e se
arriverò. Se avessi una struttura chiara fin dall’inizio, sarebbe meno
entusiasmante per me come esperienza, risulterebbe qualcosa di artificiale. No,
decisamente preferisco prendere la scrittura giorno per giorno, partendo dalle
sensazioni che mi comunica.
Among
ten thousand things (Tra le infinite cose edito
in Italia da Mondadori) è la storia
di una famiglia: Jack, sua moglie Deb e i loro bambini Simon e Kay, una
famiglia in crisi che poggia su una coppia in crisi. Crisi che lei palesa
subito al lettore, rivelandogli prima la doppia vita di Jack e poi il mancato
stupore di Deb nell’apprenderlo. Questo
incipit fa venire in mente che non è sempre utile sapere tutto della persona
con cui si vive. É questo il fulcro del suo romanzo?
Avevo
bisogno di un incidente inziale che potesse rompere l’equilibrio artificiale che
si era creato da tempo nella coppia, equilibrio che il lettore scoprirà solo
dopo la rottura. Non so se sia giusto sapere tutto della persona che si ama, a
volte lo si scopre ma l’impatto è tale che si preferisce ignorarlo pur di
preservare una armonia esteriore. È questo il tema conduttore su cui ho
sviluppato la mia storia.
I due personaggi principali Jack e
Deb sembrano confusi, insicuri e alla continua ricerca di un senso per
mantenere vivo il loro rapporto che non comporti però responsabilità. Jack è un
artista che tenta di diventare famoso, apparentemente incapace di dimostrare
emozioni, Deb usa la gravidanza come scusa per abbandonare una carriera nella
danza che non è mai decollata, gestendo la maternità come se non fosse un suo
problema. Perché ha creato due personaggi così fastidiosi e fallimentari in
tutte le loro esperienze?
Entrambi
i personaggi fanno del loro meglio, con i loro errori e le loro frustrazioni.
Mi interessava esplorare la sensazione di trovarsi responsabili di un'altra
persona prima di essere davvero pronti, senza che nessuno ti abbia spiegato
cosa vuol dire. Entrambi falliscono nel loro essere genitori, più di una volta,
ma questo non vuol dire che, soprattutto in superficie, non vengano percepiti
come buoni genitori da chi non entra nella loro intimità. Quanto è comune
questa situazione oggi?
Il New
York Times sostiene
che lei ha «una eccezionale comprensione delle vulnerabilità della mezz’età e
dei continui compromessi che comporta un matrimonio». Mi chiedo come sia
possibile, visto la sua giovane età. Ha preso spunto dalla sua vita familiare o
è solo un’osservatrice ossessiva dell’essere umano over 40?
Non
saprei, una parte dell’esperienza viene dall’osservazione della famiglia, mia o
di altri. Ma io osservo tutti i tipi di emozioni che si realizzano intorno a me
e provo a immaginare me stessa in quel tipo di situazioni. E questo prescinde
dall’età. Deb viene tradita eppure decide di non rivelarlo al traditore fino a
che non è costretta a farlo. Cosa porta una donna a fare una scelta del genere?
Parte del piacere di essere scrittore è proprio quello di mettere la propria
immaginazione al servizio di diversi personaggi in diversi luoghi, soprattutto
se molto lontani da se stessi.
Alcuni giorni fa Jonathan Safran Foer
è venuto in Italia a presentare il suo quarto romanzo, incentrato anch’esso
sulla storia di una famiglia in crisi. So che lei conosce molto bene questo
scrittore che è stato anche suo professore alla NYU, oltre a dare dei giudizi
lusinghieri su Tra le infinite cose. Penso che Safran Foer sia il professore che
tutti ci augureremmo di avere. Ci racconta qualcosa che l’ha colpita delle sue
lezioni o qualche insegnamento che vuole condividere con noi?
Sì,
Jonathan è stato il mio professore quando frequentavo la NYU, ma soprattutto è
stato un mentore, che ora considero un amico. I suoi consigli e il suo supporto
sono stati per me importantissimi per farmi credere in me stessa e farmi finire
il libro. Il messaggio più importante che mi ha trasmesso è la tenacia.
Scrivere è una cosa molto complessa e richiede una dedizione totale e la
consapevolezza nel proprio valore, anche quando tutto e tutti ti dicono di
smettere.
Il suo libro ha avuto critiche
positive fin dall’inizio, soprattutto in USA, dove l’hanno paragonata a
scrittori come Jennifer Egan e Jonathan Franzen, qualcuno è arrivato anche a
trovare in lei similitudini con Milan Kundera, a quale autore si sente maggiormente
legato per l’influenza che ha avuto sulla sua scrittura?
Ci
sono molti libri cui ritorno spesso, anche se non posso dire di avere dei veri
e propri modelli. Virginia Woolf è stata molto importante per scrivere questo
libro, ma preferisco non dare dei nomi specifici, dipende anche dal momento.
Come è arrivata a pubblicare? Aveva
già un agente mentre era alla NYU?
Stavo
lavorando alla mia tesi per la Graduate School e ho inviato una bozza al mio
agente ed è piaciuta molto. Abbiamo pensato ad alcuni cambiamenti e quando
siamo stati convinti di avere fra le mani una stesura pronta per essere letta
da altre persone, l’abbiamo inviata ad alcune case editrici e in poco tempo
avevo firmato un contratto.
Come ha trovato il suo agente?
Ho
trovato il mio agente inviando alcune mail ad alcuni fra gli agenti più
importanti trovati su internet. Ho inviato loro il mio lavoro e qualcuno mi ha
richiamata. È stato tutto molto semplice.
Ha scritto altri libri prima di
questo?
No
questo è il primo libro che ho scritto.
Quindi primo scritto, primo
pubblicato. Sa che susciterà l’invidia di molti lettori e aspiranti scrittori?
Spero
di no. Comunque sì, è andata proprio così.
E ora sta pensando al prossimo libro?
Non
ancora, per ora sto partecipando alla promozione internazionale di questo romanzo
e poi avrò bisogno di ricaricare le batterie. Comunque sì, è naturale pensare
al prossimo libro non appena si pone la parola ‘fine’ al precedente.
Alcuni critici europei hanno messo in
dubbio parte delle sue doti letterarie dicendo che il suo successo è un effetto
della grande campagna promozionale, molto più che delle sue capacità
letterarie, per alcuni ancora acerbe, seppure molto promettenti. Cosa ne pensa?
Ognuno
ha diritto alla sua opinione. Penso che sia utile avere qualcuno che parli del
libro, anche negativamente, perché spingerà più persone a leggerlo per farsi
una loro idea. Non ho rimpianti né sulla stesura né sul risultato. Scriverei
tutto nello stesso modo.
Prima di salutarci, ci racconta cosa
legge Julia Pierpont?
Autori
che sono emozionalmente onesti e analizzano nel profondo le sensazioni, le
paure e magari i rari momenti di felicità delle persone. In questo modo scoprirò
personaggi in cui mi potrò immedesimare, non è questo che cerca un lettore?
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