L’orso affamato e Il corvo buongustaio

Ieri mattina, all’alba, perlustravo la cucina come un orso miope alla ricerca di miele. Qualcuno aveva interrotto il mio letargo e mi aveva rubato gli occhiali. Un orso nervoso, si sa, non è mai un buon inizio. Un orso nervoso cieco più di Milton e Joyce messi assieme, può diventare un cataclisma. 

Ciotole, cucchiaini, barattoli, strofinacci, tutto finiva per terra a rallentatore, ma del miele nessuna traccia. Lo stomaco protestava e la testa scoppiava, tutto per colpa di un ospite indesiderato che aveva fatto il nido sul mio collo. Un corvo. Non pensate a quello del poema in versi di Poe, né a quello de La macchia umana di Philip Roth, no, il mio corvo era più vicino a quello di Lewis Carroll in Alice nel paese delle meraviglie. Avete presente quando il Cappellaio Matto chiede ad Alice: «Why is a raven like a writing desk?» (Perché un corvo è come uno scrittoio?). Ecco, l’uccellaccio che mi aveva svegliato, iniziando a beccarmi il collo come se volesse staccarlo dal resto del corpo, era come il corvo del Cappellaio Matto. Un depistaggio, quel tipo di riferimento letterario che sembra totalmente folle e che fa innervosire il lettore, spingendolo a girare pagina alla ricerca del filo narrativo che lo porterà in quel verosimile cui tanto è affezionato. Ma è proprio nel dettaglio più incomprensibile che spesso si nasconde la verità e poi il corvo si stava impegnando così tanto nel suo lavoro che mi sembrava poco cortese scacciarlo. 

Mi sono trascinato verso una lunga chaise longue ricoperta da una ipnotica tappezzeria a quadretti bianchi e neri, in modo da far cadere la mia testa su qualcosa di morbido, non appena il corvo avesse finito il suo lavoro. Gli orsi semi addormentati hanno la stessa eleganza di un gruppo di Capponi di manzoniana memoria (ve li ricordate? Legati per le zampe e trascinati a testa in giù da un Renzo agitato?). Per questo, finire muso a terra a contemplare le venature del parquet, a pochi centimetri dall’agognata chaise longue, non mi è sembrato un cattivo risultato. In fondo mi stavo riposando e al corvo era bastato conficcare il becco in profondità nella mia carne per non perdere la sua posizione. Sentivo che il becco aveva quasi compiuto il suo lavoro, solo un paio di colpi e… nulla, il corvo aveva lasciato la presa. Aveva rinunciato? 


Non io mio corvo! Qualcosa doveva aver attirato la sua attenzione, ma non c’erano altri colli in giro da beccare, non aggrovigliati e ricolmi di vertebre succulente come il mio, di questo ero certo. Stavo per convincermi che il corvo avesse trovato la soluzione alla domanda del cappellaio matto e fosse andato subito a vantarsene con il gruppo di sostegno per ‘corvi beccatori di colli altrui’ a cui era affiliato, quando un colpo secco mi ha liberato da una delle vertebre cervicali. È rotolata a terra, lasciando dietro di sé un siero biancastro, sembrava una lumaca senza corna. Il corvo ha cominciato a rincorrerla e l’ha ingoiata. 
«Com’è?» Ho chiesto ansioso. Il corvo si è girato verso di me, pulendosi il becco con le ali. 
«Ottima, io non mangio di tutto». 
Io sì, pensai, io sì. 
Un’ora dopo ero davanti allo specchio. Il mal di testa era sparito ed anche la fame. Dovevo proprio ringraziare quel corvo, è stato il miglior osteopata che abbia mai avuto, anche se ho avuto la lingua nera tutto il giorno a causa sua. 
Ma forse è colpa mia, io non sono un buongustaio.



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