Il giapponismo: una moda che dura da quasi duecento anni

Giappone. 
Il monte  Fuji, l'inchino, i cartoni animati, il sushi, Murakami Haruki, la cerimonia del tè, i dorayaki, Madama Butterfly, il kimono, il silenzio, i manga, Kyoto. Queste le prime parole che mi vengono alla mente parlando della terra del sol levante, il cui nome deriva dai viaggi di Marco Polo. 


Non sto tentando di confondervi, Marco Polo ha visitato la Cina e non il Giappone, ma era così che i cinesi definivano quell'avamposto di migliaia di isole a est del mar della Cina. 'Nichi-hon', poi divenuto in giapponese 'Nihon' ossia 'origine del sole' . Ed è proprio dal rientro di Marco Polo dai suoi viaggi che inizia la curiosità di scoprire cosa c'è ancora più a est dell'est visitato dalla famiglia Polo. Il via alla scoperta di massa lo diede un accordo commerciale, quando nel 1854, dopo 250 anni di isolamento autoimposto, il paese del sol levante si aprì al commercio con l'Europa. Fu così che dal Giappone, si passò presto al 'giapponismo' un movimento di appassionati della cultura e arte giapponese che invase trasversalmente le arti e le nazioni. 


Con l'esposizione universale di Parigi del 1867, si diede il via alla Giappone-mania, che portò la classe nobile e borghese a sparpagliarsi per mercatini e fiere, pur di possedere un oggetto che venisse o fosse ispirato dall'impero del sole. Il giapponismo arriva così a toccare e influenzare anche gli artisti, che iniziano a dipingere su carta o su seta, realizzando ogni genere di kakemono (letteralmente 'cosa appesa'), per soddisfare la sete inesauribile di oggetti nipponici del Mercato occidentale. 



Proprio al fenomeno del giapponismo, dedica una ricca e inconsueta mostra il Mudec a Milano. Con le sue 170 opere esposte (fra dipinti, serigrafie, mobili, paraventi, filmati storici) “Impressioni d’Oriente. Arte e collezionismo tra Europa e Giappone”, illustra lo sviluppo di quel gusto orientato verso il Giappone che pervase la cultura artistica occidentale tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Da De Nittis a Rodin, da Chini a Induno, da Van Gogh a Gauguin e Fantin-Latour, da Toulouse-Lautrec a Monet, da Zandomeneghi a Segantini, nessuno riuscì a resistere al fascino di una cultura che sembrava essere così orgogliosa delle proprie tradizioni da averle protette per centinaia d'anni dai 'barbari' occidentali.





È la nascita di una fascinazione che è viva e potente ancora oggi, che poggia anche sulla capacità del Giappone di non mischiarsi con gli altri, di sentirsi e mostrarsi come orgogliosamente diverso e non bisognoso di una accettazione da parte dell'Occidente. Il Giappone è entrato così nelle nostre case prima in forma di tecnologia, poi con il design, la gastronomia, la cinematografia, la religione, impregnando generazioni di europei di quel desiderio di scoperta per il 'diverso' su cui si basa il progresso dell'uomo. Anch'io sono un 'fascinato' della cultura nipponica e programmo già il mio secondo viaggio nella terra del sol levante, mi piacerebbe però che lo stesso interesse senza preconcetti (o con preconcetti solo positivi) si potesse generare per altre aree della Terra, altrettanto affascinanti ma forse un po' troppo 'diverse'.


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