Lontano dagli occhi, ma mai dal cuore. Incursione nel nuovo romanzo di Paolo Di Paolo

Siamo in un palazzo, in uno dei tanti quartieri di Roma in cui il razionalismo degli anni ’30 ha dovuto fare i conti con l’esplosione demografica prima e con la compulsione per l’auto poi. In una stanzetta si ritrovano un gruppetto di ardimentosi fanatici della parola per partecipare a un seminario su uno strano oggetto definito ‘faction’. A risolvere l’arcano, un ragazzo dal volto pensoso e dolce che parla di immaginazione e realtà come di due elementi strettamente integrati. Per dimostrarlo proietta su un lenzuolo uno spezzone de La voce della luna, l’ultimo film di Federico Fellini, aprendo ai partecipanti (con i suoi commenti e le sue domande) una finestra sul mondo dei particolari. Piccole cose, azioni e naturalmente parole, che possono richiamare alla mente dello spettatore/lettore eventi, persone, luoghi e idee radicate in un particolare momento storico, culturale o socioeconomico di un Paese. 


Sono passati più di dieci anni da quell’incontro e fra quegli ardimentosi c’ero anch’io. Il colto e appassionato ragazzo che riscaldò i nostri animi era Paolo Di Paolo. Da allora ha scritto molte storie ne sono certo, alcune le ha date alle stampe (quelle che hanno passato il suo severo esame). L’ultima è Lontano dagli occhi (edito da Feltrinelli nei ‘Narratori’) storia di tre donne che, all’inizio degli anni ’80 a Roma, devono confrontarsi con una gravidanza che non sono certe di desiderare, un evento che sanno cambierà la loro vita a cui non vogliono (ancora) concedere questo potere. Accanto a loro, a volte solo con il pensiero, tre uomini che, come le loro donne, si sentono ancora figli e per nulla possibili genitori. 

Personaggi che si sfioreranno più volte, senza mai incontrarsi davvero, fino a quando i nove mesi che la Natura ha concesso all’uomo per illudersi di non essere diventato come i propri genitori saranno trascorsi. Ognuno di loro si troverà di fronte allora a suo padre che si chiamerà ora nonno e ne percepirà la stanchezza. “Ma anche la tenerezza, la voglia di godersi davvero un brindisi con il figlio” penserà che sono due bugiardi, “non più solo padre e figlio, ma come due figli cresciuti, diventati padri entrambi”.
Fra le tre coppie, menzione speciale a Gaetano e Cecilia. Lui lavora in una pizzeria al taglio, lei vive in strada con il suo cane Giobbe. Cecilia è fuggita dai suoi genitori, non li capiva, non si sentiva capita, Gaetano li ha persi, morti entrambi, darebbe tutto per ritrovarli. Con loro ancora parla, fantasmi che bisbigliano nella sua testa. È la coppia di cui ho sottolineato più passaggi e che ho sentito più vicina e viva delle tre, ma lascio al lettore trovare la sua preferita.  


Fin qui la storia, raccontata in terza persona dal punto di vista di un personaggio che il lettore scoprirà solo alla fine della storia, non ho l’abitudine di rivelare troppo ai lettori. Ciò che devono sapere di questo libro è che Paolo Di Paolo non ha perso l’amore per le piccole cose di valore. Le cesella con gran dedizione, spargendole con generosità in tutto il suo romanzo. Fumetti da coccolare come gatti, telefoni che ringhiano, case che parlano con astio al loro padrone, ma soprattutto la “colla scura dei pensieri” che diventa un continuo vortice di stream of consciousness, obbligando le madri e i padri potenziali di Lontano dagli occhi a interrogarsi sul loro futuro, guardando al loro passato, ai propri genitori e a quanto di loro, che lo amino o lo odino, porteranno con sé. È così che ogni storia si sovrappone all’altra e dubbi ribollono come se volessero distillare un uomo nuovo, migliore, così certo del suo essere nessunoda non dover sempre mostrarsi altro da sé. E se, a volte, la necessità di scavare nella mente del personaggio è così forte da rischiare di divorare la storia, lasciando i personaggi in balia di un narratore che ha più interesse nel trovare un senso profondo in ogni loro azione piuttosto che lasciare questa possibilità ai personaggi stessi o al lettore, ciò non priva questo romanzo del coraggioso compito di ricordarci che “le parole fanno esistere”, soprattutto se ben scritte.


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