Una parola di verità peserà più del mondo intero

Nella seconda metà del XX secolo abbiamo voluto credere che l'uomo fosse finalmente maturo per imparare dalla sua storia. L'umanità era diventata 'una' grazie alla tecnologia, all'ONU e alla UE, al libero scambio di merci e di persone, alla possibilità di parlare a proprio piacimento con un altro essere umano che potesse raccontarci senza filtri quello che stava accadendo in tempo reale dall'altra parte del mondo. 


I media erano diventati di colpo alla portata di tutti e il quarto potere era passato da una oligarchia a una democrazia. Non ci sarebbe stato più leader o dittatore capace di far sparire la verità, modellandola a suo piacimento, perché il videoreporter democratico con smart-phone in mano sarebbe stato pronto a riprenderne la bugia. 



Le notizie che hanno cominciato a bombardarci sono diventate così più leggere e lontane, come se avere accesso al mondo bastasse a conoscerlo, a controllarlo, riponendolo in un cassetto della nostra mente fra le vacanze estive e la macchina con cui andarci. Questa conoscenza potenziale si è estesa ai nostri occhi e ai nostri ricordi come una nebbia densa e appiccicosa. Una trappola per il nostro ego che si è sentito capace di gestire qualsiasi cosa il futuro avesse in serbo per noi in base alla propria scala di valori, l'unica possibile, l'unica che valesse per un mondo che da spazio era diventato rete. Una rete a maglie sempre più larghe, dove felicità e futuro sembravano direttamente legate alla capacità di ignorare ciò che non avesse impatto sui nostri avatar di FaceBook o Instagram. 


Poi è arrivata una notizia che più vecchia non si poteva: una nuova malattia, come lo erano state in passato l'Ebola o la Sars.
Malattie che nascono in luoghi lontani ed esotici, che riguardano persone diverse di noi, avatar con i loro sistemi di valori, vestiti in modo diverso, che mangiano cose diverse, che parlano una lingua diversa. Nulla di quello che aveva toccato loro poteva sfiorarci. Salvo ritrovarsi sospesi in una bolla di silenzio, mentre ci guardiamo e camminiamo, provando a non sfiorare l'aria che ha avvolto un attimo prima un potenziale infetto.
E ci chiediamo perché non abbiano un'aura rossa intorno al corpo o almeno una corona ricamata sul bavero della giacca, lo diciamo a voce alta o solo nella nostra mente, convinti che così nessun brivido ci sfiori.
Scopriamo che la UE e l'ONU sono una bella bandiera e nulla più, che per le mascherine ‘ognuno per sé e nessuno per tutti’, che le frontiere sono sempre state chiuse, che ora siamo noi 'gli altri' e la nostra paura e i nostri malati sono una notizia democratica nel mare di voci che colpisce l'orecchio degli altri così diversi e lontani di cui all'improvviso abbiamo tanto bisogno. E ci stringiamo alle nostre bande larghe e alle nostre TV supplicando perché almeno uno di quei volti ci esponga alla verità.


50 anni fa un signore dalla barba lunga e brizzolata riceveva dalla Svezia il più grande onore che uno scrittore possa ricevere: il premio Nobel per la letteratura. Era il 1970 e quel signore si chiamava Aleksandr Isaevič Solženicyn che profetizzava: "L'umanità è diventata una, non è salda come solevano esserlo le comunità o le nazioni di un tempo; non si è unita attraverso anni di mutua speranza, né sulla base di una visione comune di un singolo occhio [...] sono state le trasmissioni televisive a superare tutte le barriere. [...] Le scale divergenti permangono e stridono fra loro, ci stordiscono e ci disorientano. Ecco perché il disastro più grande, doloroso e intollerabile non è per noi quello davvero più grande, doloroso e intollerabile, ma quello che ci accade più vicino. [...] Non possiamo rimproverare allo sguardo umano questo dualismo, questa sbalorditiva incomprensione del dolore di un individuo distante: l'uomo è fatto così. Ma, per l'insieme dell'umanità, compressa in un'unica massa, tale incomprensione reciproca comporta la minaccia di una distruzione imminente e violenta. [...] Proprio come un uomo con due cuori non è fatto per questo mondo, noi non saremo in grado di vivere fianco a fianco su una sola Terra".


È per questo che ai portatori di notizie che in questo giorno scherzano con le nostre paure come si gioca al gatto con il topo per il puro gusto di sfamare il proprio ego, concedo l'onore delle armi. Bene, avete vinto, le persone hanno paura, le persone sono confuse, le persone sono disposte a sacrificare i più deboli pur di non impoverire la loro pagina Instagram. Ora dateci la verità e offritela con cucchiate leggere, come un gelato al veleno. Un po' alla volta, riusciremo a diventare immuni persino a voi

"Una parola di verità peserà più del mondo intero"[1].


[1] Dal discorso per il conferimento del premio Nobel per la letteratura ad Aleksandr Solženicyn da Tra scrittura e libertà – editrice San Raffaele 2010

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