Con tutti gli onori. Arriva in Italia l’ultimo capitolo della trilogia di Rachel Cusk

Trama solida. Personaggi verosimili. Eventi che sorprendono il lettore e mettono in difficoltà i personaggi. Ritmo che tiene incollati alla pagina. 


Queste alcune delle regole di un buon romanzo (se davvero credete che esistano) che Rachel Cusk ha violato senza paura con Onori, ultimo capitolo della sua trilogia (dopo Resoconto nel 2018 e Transiti nel 2019 – tutti editi da Einaudi) dedicata a Faye, scrittrice e io narrante che si mette in viaggio dalla Gran Bretagna (in cui vive sola dopo un divorzio come la Cusk) per raggiungere il continente e partecipare a un convegno letterario. 
Fin qui la striminzita trama di Onori, che non delude i lettori affezionati della Cusk, offrendo loro un immenso flusso di coscienza di personaggi che appaiono sul palcoscenico della vita di Faye quel tanto che basta a narrare la loro storia per poi sparire nei ricordi della protagonista che protagonista non è. Il suo unico scopo sembra quello di ascoltare i racconti che uomini e donne che incontrerà sul suo percorso le elargiranno con una generosità alimentata da un ego gigantesco.


In un’intervista al New Yorker  Rachel Cusk racconta che era arrivata a un periodo della sua vita in cui non riusciva più a leggere narrativa perché era stanca di trovare sempre la stessa struttura di storia che si ripeteva dall’età vittoriana ai giorni nostri. Personaggi che dopo un evento imprevisto iniziale dovevano fare un percorso che li avrebbe portati alla redenzione o all’autodistruzione. Così si è messa a pensare a una forma narrativa che prescindesse dai personaggi e dalle loro connessioni, spingendosi a dire che il personaggio, così come lo abbiamo conosciuto e accompagnato nel suo sviluppo dal teatro greco fino a quello elisabettiano, non esiste più. È per questo che ha costruito Onori come un flusso di monologhi. Faye è solo il tramite, la porta, l’orecchio gigante che permette al lettore di ascoltare quello che una lista interminabile di sconosciuti decide di raccontarle.  A cominciare dall’uomo che è seduto accanto a lei sull’aereo, passando per i giornalisti che l’intervistano, gli altri scrittori che la incontrano, gli editor che la accompagnano, i traduttori che correggono, gli editori che la ignorano, gli studenti che la scortano, i figli che chiedono il suo aiuto e infine gli sconosciuti che la sfidano a colpi di getti di urina. 
Tutti sono con lei eppure sono distanti, rinchiusi nella loro esigenza di raccontare perché la loro vita è irrisolta, difficile, stantia, inutile, sprecata. E Faye è lì pronta ad ascoltarli senza replicare, lasciando il giudizio sospeso ma presente nelle precise stilettate linguistiche che questa campionessa del ricamo semantico offre al lettore provando a influenzarne il punto di vista.


Convinta che la libertà non sia mai gratuita, comportando un sacrificio in termini di obiettivi personali e professionali, Rachel Cusk, attraverso il suo braccio armato nella storia (Faye), riprende il tema della disuguaglianza di genere, presentando al lettore uomini logorroici, egoisti, aggressivi, deboli, insignificanti, ma sempre pronti a prevaricare (in maniera consapevole o meno) le donne di cui hanno bisogno e temono. Ci sono anche personaggi femminili egoisti, logorroici e aggressivi, ma l’occhio dell’autrice è diverso, rendendo i loro peccati quasi necessari, effetti collaterali del sistema di disuguaglianza sociale, economico e politico in cui vivono. Gli uomini rubano gli Onori del titolo alle donne e le donne spesso se lo rubano a vicenda ‘costrette’ a diventare uomini pur di esistere socialmente. 



La lingua che la Cusk costruisce è una corda di seta stretta attorno al collo del maschio perché molli la presa, lasciando spazio alla donna.  Potrebbe essere arrivato il tempo, chissà se la donna saprà farne buon uso. L’essere umano (uomo o donna che sia), come ci racconta la stessa Cusk nella parte finale e più vera del suo romanzo, è così ansioso di avere ciò che desidera da non riuscire a essere così tenace da aspettarlo. È come per gli abitanti del paese in cui si conclude il giro di Faye (un Portogallo maschilista e decadente, mai citato direttamente dall’autrice). Piantano la jacaranda nei loro giardini per godere della sua sorprendente fioritura viola e azzurra, ma non hanno la cura e la pazienza di aspettarla (la jacaranda è una pianta dal ciclo di crescita molto lento, abituato ai tempi dilatati dell’Africa di cui è originaria), così rinunciano, la tagliano, sostituendola con desideri più facili da raggiungere che non li soddisferanno, facendoli sentire rinchiusi in un’idea di se stessi che odiano e da cui non riescono a uscire (“Può darsi che soltanto quando è troppo tardi per fuggire si capisca di essere sempre stati soli”).


Onori è un romanzo in cui immergersi con ampie bombole di pazienza e tenacia, a prescindere che abbiate letto i primi due volumi della trilogia, sicuri di trovare numerosi tesori lungo il cammino, non solo linguistici. Armatevi di matite, evidenziatori e ogni altro supporto utilizziate per segnare nella vostra memoria passaggi su cui riflettere. Ne incontrerete davvero tanti, io ho riempito di note a margine la mia copia.





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Caricatura di Rachel Cusk by the nation

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