L'arte del racconto di Richard Yates

Avete mai raccontato una storia a un bambino? Di quattro o cinque anni, non così piccolo da essere ammaliato da qualsiasi voce che ripercorra le istruzioni per montare un mobile IKEA e non tanto grande da essere interconnesso a mondi vibranti e bippanti che lo sottrarranno alla vostra narrazione in pochi secondi. 
Si metterà steso a pancia a terra, i piedi a fluttuare nell'aria, il collo allungato verso di voi, come quello di E.T., in attesa. Se la storia che avrete scelto sarà appena passabile, la sua immaginazione ipertrofica e affamata farà il resto, sganciandosi dal corpo e realizzando con voi quell'affinità elettiva che gli scrittori cercano con i loro lettori. 


Con l'età adulta purtroppo l'immaginazione perde elasticità, lasciando spesso il suo posto alla razionalizzazione spinta, una sorta di ragionamento-ponte fra noi e il mondo esterno che semplifica e banalizza ogni emozione provata o intercettata con l'obiettivo di farla rientrare in una delle classificazioni che abbiamo creato con tanta solerzia nella nostra vita. Tristezza, Gioia, Paura, Rabbia, Disincanto, Speranza hanno un'unica forma e intensità: la nostra. Le emozioni vengono spellate dalla nostra mente come gli strati di una cipolla (ad effetto soporifero più che lacrimogeno) e perdiamo la capacità di sorprenderci per ciò che accade e di immedesimarci con quello che provano gli altri. 



Se, come me, non avete narratori creativi e illuminati che si presentino in carne e ossa a casa vostra per raccontarvi storie che restituiscano un po' di strati alla vostra cipolla emotiva, avete però la possibilità di usufruirne a distanza, raggiungendo in alcuni casi livelli di consapevolezza e potenza immaginifica vicina a quella di un cinquenne
Niente paura, non vi propongo meditazioni massive o diete digitali (sebbene vorrete silenziare i vostri device durante questa pratica), ma solo qualche ora a settimana da trascorrere in compagnia di un romanzo. Ognuno si lascerà guidare dal proprio istinto e dalle precedenti letture per scegliere l'autore e il titolo che lo ispira, l'importante è che si generi quell'affezionamento esperienziale' nella mente del lettore che la renda unica per le emozioni e la capacità di immedesimarsi in questo o quel personaggio e nel suo più intimo sentire. Se così non sarà, non avrete incontrato l'autore adatto al vostro viaggio, non desistete però, ne vale sempre la pena. 


Nel mio continuo cercare fra le pieghe della narrativa, mi sono imbattuto ne Il vento selvaggio che passa, romanzo di Richard Yates, pubblicato per la prima volta in italiano quest'anno da minimum fax grazie alla traduzione di Andreina Lombardi Bom. Penultima opera narrativa dell'autore di Revolutionary Road e Eastern Parade, a cui si sono ispirati molti scrittori del secondo Novecento per ritrarre la lotta continua e perdente che vede le aspirazioni e i talenti dell'uomo comune scontrarsi con le regole della società e del mercato che lui stesso sostiene (uno fra tutti Kurt Vonnegut). I
l vento selvaggio che passa racconta la storia di Michael e Lucy Davenport, coppia costantemente concentrata sui rispettivi desideri infranti e sul modo in cui, attraverso questi, si legge la vita che hanno attorno, fatta di persone che sembrano ottenere tutto ciò che vogliono o dichiarano di volere. 
Con una rara capacità di introspezione dei personaggi, purezza della scrittura e abilità nel costruire dialoghi, Richard Yates mi ha risucchiato nella storia, aiutandomi a ricordare che "la differenza fra persone forti e persone deboli, a un esame attento, finisce sempre per andare in pezzi".  È bene tenerlo a mente quando si confronta la propria vita con quella delle persone che ci circondano o quando si valutano le esigenze (proprie o altrui) partendo dal presunto rapporto di forza o di debolezza che lega due individui. 


Tom Hanks, nel film You've got mail di Nora Eprhon,
 racconta a Meg Ryan che la pellicola di Francis Ford Coppola Il Padrino è una fonte inesauribile di ispirazione dove trovare una risposta valida a ogni domanda che la vita ci pone. Ebbene Il vento selvaggio che passa è appena diventato il mio Padrino, non solo perché con i suoi giochi linguistici e ribaltamenti emotivi è una perfetta scuola di scrittura creativa per chiunque ami l'arte della narrazione, ma perché mi ha permesso di osservare la vita che percorro dall'esterno, per poi rientrarvi con occhio generoso e attento ai miei (e altrui) desideri e per questo non potrò mai ringraziare Richard Yates abbastanza. 





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