Klara, Kazuo e l’arte della dilazione
Si dice che un romanziere scriva sempre la stessa storia, scavando nei suoi personaggi, ancóra e ancóra, per avvicinarsi sempre di più a ciò che vogliono dire. Nel caso di Kazuo Ishiguro e del suo ultimo romanzo (Klara e il sole – edito in Italia da Einaudi e tradotto da Susanna Basso) lo scavo è quanto mai accurato, come se l’obiettivo fosse quello di proiettare il lettore al centro dell’anima della narrazione senza spargere nemmeno un granello di dolore in più del necessario.
Con la meticolosa arte della dilazione controllata a cui ha abituato i suoi lettori fin da Quel che resta del giorno e Non lasciarmi, Kazuo Ishiguro rallenta gli apprendimenti di Klara, per mostrarci gli strati emotivi che si possono nascondere dietro i gesti più semplici e quotidiani. Klara è stata costruita per mostrare un’immagine di sé che possa essere gradevole per gli umani, adattandola sempre di più alla persona che le è capitata in sorte come padrone, ma dentro nasconde un universo di sensazioni represse che la fanno quasi immediatamente più umana dei suoi padroni in carne e ossa. Per questo il lettore empatizza con Klara fin dalle prima pagine: soffre con lei quando viene tolta dalla vetrina oppure quando si ritrova in una festa di adolescenti bulli che la usano come scudo per le loro squallide ripicche.
Nata per essere una fiaba, Klara e il sole è divenuta, nei cinque anni necessari all’autore per scrivere e riscrivere questa storia, grazie anche al supporto dei suoi editor principali (moglie e figlia), ciò che lo stesso Kazuo Ishiguro definisce ‘un taglio perfetto’. Quello che imprimerebbe un samurai a un ciuffo d’erba, dopo aver osservato in silenzio e immobile ogni particolare che lo circonda: la lunghezza e lo spessore dell’erba, l’umidità del terreno, la forza del vento e naturalmente l’intensità del sole, lo stesso a cui si espone Klara per ricaricare le sue energie e le sue speranze. Il samurai aspetterebbe e aspetterebbe e poi in un attimo l’erba sarebbe nel palmo della nostra mano, quel palmo che abbiamo sollevato nel momento esatto in cui il samurai ha sferrato il suo colpo perfetto.
È così che questo AF (Artificial Friend) si annida nei nostri pensieri, costringendoci a guardare il mondo da un altro punto di vista, confrontandoci con le domande più pericolose a cui possiamo pensare. Attenzione però: se siete alla ricerca di un romanzo che vi trascini in una girandola di azioni tenendovi con il fiato sospeso, fate un bel respiro prima di immergervi in questa storia che assomiglia più a una maratona in apnea che a uno scatto da centometrista. L’autore si aspetta che siate voi, con il vostro turbinio interiore, a generare il movimento che il vostro corpo anela e la vostra mente pretende. E se vi ritroverete a un bivio a domandarvi perché Klara non apprende più velocemente e agisce di conseguenza, pensate a cosa avreste fatto voi al suo posto e a quante volte riuscite a esternare quell’emozione che si strugge nella vostra anima senza che nessuno se ne accorga.
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