La pericolosa casa di marzapane di Jennifer Egan in cui siamo immersi fino al collo

“La collettività è come la gravità, quasi nessuno può resistervi”. 


È da questa frase di Jennifer Egan che vorrei partire per muovere i primi passi alla scoperta del suo ultimo romanzo La casa di marzapane (edito in Italia da Mondadori, traduzione di Gianni Pannofino), sentiero di storie intrecciate che assomiglia più a una raccolta di racconti finemente sovrapposti che a un romanzo, in cui riemergono alcuni personaggi del libro più famoso della Egan, Il tempo è un bastardo, premiato con il Premio Pulitzer e il National Book Award nel 2011, in cui l’autrice raccontava la storia di Bennie Salazar ex musicista e discografico di successo e della sua assistente Sasha, passando rapidamente dagli anni ’70 alla prima decade del XXI secolo. Muovendosi in un’ottica circolare più che lineare, Jennifer Egan dava vita a decine di storie che creavano un mondo totalmente indipendente e affascinante in cui immergersi e scoprire come la tecnologia e i social avrebbero influenzato non solo la nostra vita, ma la lingua che avremmo usato per comunicare e scrivere. 



La logica sottesa a La casa di marzapane è simile, qui abbiamo Bix Bouton, novello Steve Jobs, che nel 2010 ha dato il via a quello che sarebbe diventata la prima forma di coscienza collettiva. La piattaforma di Bouton permette infatti di creare un back-up dei propri ricordi in cloud e di accedere, in cambio della loro condivisione, alla memoria collettiva formata dai ricordi di tutti gli utenti. Questo permette ai protagonisti delle storie cesellate dalla Egan di crogiolarsi nei loro ricordi aumentati dalle memorie di chi ha partecipato a crearli. Così i figli possono finalmente sapere cosa pensasse il padre quando gli ha fatto quel regalo inaspettato o come la propria sorella non abbia capito la loro sofferenza quando li ha traditi o perché i loro amici sono riusciti a superare un ricordo traumatico che li accomuna. Ma le aspettative, si sa, nascondono una propria idea soggettiva di giustizia che si scontra con quella altrui e scoprire cosa avessero in mente le persone quando hanno compiuto un’azione per noi fondamentale è assai rischioso. E se per gli altri quel momento fosse stato insignificante? Reggeremmo all’impatto? 



Legati da questi scottanti segreti (che non sono più tali), i personaggi delle storie della Egan racchiuse ne La casa di marzapane non sanno nemmeno chi incolpare per il loro dolore, poiché la memoria creata da Bouton è collettiva e come tale senza responsabilità. Il lettore segue le singole aspettative infrante, ritrovandosi in esse e sperando fino alla fine che qualcosa cambi, sconvolgendo la certezza di aver creato una bolla di collettività che sa tutto di noi pur non provando per il nostro destino alcuna emozione.


Influenzati dalle immaginifiche e acute storie di Ursula K. Le Guin avremmo sperato in un approfondimento maggiore dell’idea delle due correnti che si fronteggiano: i contatori (che tracciano e sfruttano le aspettative delle persone a fine commerciali) e gli elusori (che hanno capito quanto costi affidare a una collettività senza nome i propri ricordi), ma lo spunto della Egan viene riassorbito dalle storie dei singoli personaggi non lasciando traccia, allo stesso modo alcune storie ci sono sembrate cariche di possibilità inesplorate, come se l’autrice avesse voluto condensare in un romanzo troppe buone idee narrative, sacrificandone così il respiro.



In questa casa di marzapane virtuale in cui abbiamo fatto di ognuno di noi il protagonista, il regista, lo sceneggiatore e lo scenografo della propria vita, stiamo scoprendo, ci ricorda Jennifer Egan, che ogni morso che diamo alla casetta ci avvicina un po’ di più al pentolone del tempo che ci bollirà, non per mangiarci come la strega di Hansel e Gretel, ma solo per fare spazio ad altre comparse convinte che il valore della propria vita risieda nella possibilità di raccontarsi a prescindere dalla presenza di qualcuno disposto ad ascoltarle.


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