Il mondo è un teatro, il viaggio di William Shakespeare

Muoversi fra le pagine del saggio di Bill Bryson, Il mondo è un teatro - la vita e l’epoca di William Shakespeare, (alla sua prima edizione nella collana Saggi best seller di TEA libri e a quattordici anni dalla prima edizione italiana per Guanda - traduzione di Stefano Bortolussi), è un’esperienza elettrizzante non solo per coloro che sono appassionati di teatro elisabettiano, ma per chiunque si volesse immergere in una delle epoche più innovative e dirompenti della civiltà occidentale.


Durante i regni dei sovrani britannici Elisabetta I e Giacomo I, caratterizzati dall’inizio del colonialismo e dalle scoperte geografiche, dalla nascita di un impero britannico globale, grazie alla sconfitta dell’invincibile Armada nel 1588 e dalle prime grandi scoperte scientifiche, sono anche ricompresi una settantina di anni di rinascimento culturale inglese (dal 1558 al 1625) che hanno cambiato drasticamente la storia del teatro occidentale, riportando in auge i testi greci e romani, a cominciare da Seneca, e generando una profonda contaminazione fra tragedia e commedia che si concretizzò nel sodalizio fra due simboli della drammaturgia britannica: William Shakespeare e Londra.
Pochi luoghi, ci dice Bill Bryson, “possono essere stati al tempo stesso letali e desiderabili come la Londra del sedicesimo secolo”. L’enorme afflusso di viaggiatori e marinai che vi arrivavano rinnovavano la “scorta cittadina di malattie infettive”. La peste era di casa a Londra, un luogo dove le morti superarono le nascite per più di due secoli e solo un nugolo di provinciali ambiziosi che si riversarono fra le sue strade pullulanti ne mantenne la popolosità. Mischiato in questo blob di speranzosi martiri arrivò a Londra anche William Shakespeare. Non sappiamo bene quando e per quale motivo vi arrivò, ma sappiamo che vi giunse e lo spettacolo che lo accolse dovette affascinarlo e spaventarlo assieme.


I libri stampati esistevano da secoli come oggetti di lusso, ma quello fu il periodo in cui divennero accessibili. Nella Londra elisabettiana furono pubblicati settemila titoli, acquistabili spesso per pochi pence grazie alle innovazioni nei metodi di stampa, lo zucchero era diffuso e simbolo di agiatezza, tanto che era comune scurirsi i denti con il carbone per imitare i nobili e le loro carie altolocate; le nobildonne, a cominciare dalla regina, si schiarivano la pelle con prodotti a base di sostanze tossiche come il piombo e lo zolfo; la birra era venduta in ogni luogo e gustarla a colazione in boccali da cinque litri era la norma; il tabacco era la cura per ogni genere di malattia, tanto che per gli studenti di Eton era obbligatorio il suo utilizzo. E poi certamente c’erano i teatri, una novità assoluta. Fino a quel momento le compagnie avevano recitato nei cortili, nelle piazze o nei palazzi della nobiltà, ma non esistevano luoghi deputati ad accogliere esclusivamente rappresentazioni teatrali. Il primo teatro nato a questo scopo in Inghilterra è il Red Lion nel 1567 a Whitechapel, sobborgo di Londra, seguito dal Theatre di John Brayne e di un falegname che sarebbe divenuto un’istituzione fra gli impresari londinesi (James Burbage) nel 1576. Così, quando Shakespeare arrivò a Londra, probabilmente alla fine degli anni ’80 del Cinquecento i sobborghi della città (era vietato costruire teatri nelle mura della city) erano tappezzati da teatri e concerie, oltre che da bordelli e manicomi. Insomma, da quel crogiolo di reietti e folli che avrebbero costituito la base spumeggiante dei protagonisti del teatro inglese.


Gli spettacoli iniziavano alle due del pomeriggio e gli spettatori erano raccolti nelle strade grazie a un convincente servizio di strilloni e volantinaggio. I biglietti costavano 1 penny, in un mondo in cui la paga giornaliera era di dodici pence e quindi decisamente accessibili. Non c’erano scenografie, né sipario, per questo le scene e l’ambientazione dovevano essere introdotte da qualche “pennellata verbale” per aiutare la fervida immaginazione degli spettatori a entrare nella storia. Le opere duravano molto di più di quanto siamo abituati, la storia di Amleto aveva bisogno di quasi cinque ore per dipanarsi, una sfida per il pubblico ma anche per i teatranti che dovevano memorizzare migliaia di battute e di storie, visto che era pratica comune per una compagnia recitare più opere in parallelo a giorni alterni. E se una compagnia, come quelle in cui ha lavorato Shakespeare, recitava fino a trenta opere diverse a stagione, questo avrebbe voluto dire per un attore memorizzare quindicimila versi, oltre a ogni passo di danza, stoccata e cambio costume con i relativi tempi di messa in scena: un impegno enorme. Fra le tante compagnie esistenti a Londra nel XVI secolo vanno ricordati gli Admiral’s Men e i Lord Chamberlain’s Men (il teatro era vietato alle donne), fra cui spiccavano talenti come John Heminges, che avrebbe curato la prima pubblicazione delle opere di Shakespeare nel 1623 (In-folio), e Will Kemp, per cui Shakespeare ha scritto molti dei suoi ruoli comici.
Ma quando debuttò Shakespeare sui palcoscenici londinesi?


Le ipotesi sono molteplici e nessuna abbastanza solida da non essere stata messa in discussione. In qualche momento fra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 del Cinquecento. Né andrebbe meglio se ci chiedessimo quale fu la prima opera del bardo ad essere messa in scena: La commedia degli errori, I due gentiluomini di Verona, La bisbetica domata, Enrico VI e la lista potrebbe allungarsi ancora perché i riferimenti a eventi storici nelle sue opere non sono significativi. Shakespeare è famoso per prendere idee e riferimenti a fatti storici accattivanti da opere precedenti. E spesso la sua ispirazione andava ben oltre l’idea, appropriandosi di interi passi di autori precedenti, alcuni casi per tutti la trascrizione di ampie parti di Giulio Cesare e Antonio e Cleopatra dalle traduzioni di Plutarco di Thomas North, nonché l’inserimento ne La tempesta di pagine e pagine di una popolare traduzione di Ovidio, passi presi di peso da Ludovico Ariosto, fino ad alcune famose battute di Come vi piace ‘rubate’ parola per parola dai testi di Marlowe. Va detto che questa pratica era comune in un periodo in cui i diritti d’autore non esistevano e la proprietà delle opere messe in scena era della compagnia e non dell’autore. In cambio di questi ‘prestiti’ Shakespeare ci ha regalato decine di opere di una forza, passione e pervasività impareggiabile in cui aveva l’indiscussa capacità di fotografare le emozioni umane infilando “una frase dentro l’altra”, confondendo periodi e metafore, perché la sua mente correva libera e prima che un’idea avesse rotto il proprio guscio, un’altra veniva covata, cominciando a chiedere a gran voce di essere portata alla luce.

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