Una parola, un verso - undicesima: ricominciare

ricominciare v. tr. e intr. [comp. di ri- e cominciare] (io ricomìncio, ecc.). – 1. tr. Cominciare daccapo, riprendere dopo una interruzione più o meno lunga: r. il gioco; r. un lavoro, una lettera, una ricerca; rinnovare: Dolce color d’orïental zaffiro ... A li occhi miei ricominciò diletto (Dante). Con a e l’inf.: r. a parlare, a scrivere; ricominciamo daccapo 2. intr. (aus. essere) Avere nuovo inizio: il gioco ricominciò più accanito di prima; il freddo ricomincia. Impers.: ricomincia a piovere; è (o ha) già ricominciato a far caldo.


Ricominciare.
A lavorare, a studiare, a litigare, a pagare, ad evitare.














NO!

Ricominciamo qualcosa di differente.

Ricominciamo ad osservare.

Sulla strada che dal lavoro mi riporta a casa, si snoda un surreale aranceto di cemento e grossi palazzi, considerati vecchi e non antichi, da una città in cui tutto quello che ha meno di duecento anni è orrendamente “nuovo”. Gli alberi si sollevano da una terra grigia, fatta di sovrapposte “pezze di asfalto” e atavici resti di san pietrini, un tempo sovrani. Gli agrumi formano traballanti ruote di pergamena verdastra, che resta compatta davanti al vento che la sfiora, indeciso sul da farsi. I turisti si fermano stupiti nel vedere grinzose arance stazionare pigre e gonfie su striminziti rami assediati da uno smog che non li distrugge per avere qualcuno con cui parlare. Si fanno delle foto intorno al guizzo di creatività botanica tutta italiana, qualcuno osa anche toccarle quelle strane arance, aprirle, assaggiarle. Sono secche. Svuotate. Il volto del turista coraggioso si contrae, gli occhi si conficcano nell’agrume ormai spirato come se non volessero accettare quella morte che si nascondeva, chissà da quanto, in una parvenza di vita. Apparenza che abbelliva la corsa di un popolo impazzito, che del piacere non gusta neppure più la forma.




Commenti

  1. butto qui una riflessione perchè mi sembra il luogo più adatto (ci ho fatto un paio di post da me)

    l'altro giorno un'amica diceva che è un periodo che non legge perchè troppo impegnata con la sua vita vera per potersi "distrarre" o anche solo interessare a una vita alternativa sia pure di fantasia...
    e allora mi sono chiesta "perchè io leggo? voglio davvero (o vorrei) fuggire dalla mia realtà? vivere in un mondo diverso senza abbandonare però il mio?"

    poi ieri riprendo in mano il mio moleskine e mi accorgo che lo avevo iniziato a gennaio 2007, quindi ce l'ho da più di tre anni e inntre anni non l'ho nemmeo finito...
    scrivo poco (anche sul blog)
    ultimamente invece ho ripreso a scrivere qualcosa...
    e allora mi è sorta un'altra domanda...
    "perchè scrivo?"

    allora giro la domanda allo scrittore...
    perchè lo scrittore legge? e perchè scrive?

    e l'uomo mi risponderebbe come lo scrittore? lo scrittore ha ancora la dimensione della scrittura per se stesso, oltre che quella dello scrivere per gli altri?

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  2. Mamma mia, domande esistenziali così a bruciapelo...
    penso che lo scrittore legga perché altrimenti avrebbe ben poco da scrivere. Diciamo che legge su più dimensioni:
    1) legge per piacere mentale;
    2) legge per piacere olfattivo e tattile, dato dal contatto con la carta;
    3) legge per confrontare le sue storie, i suoi personaggi, le sue idee con quelle di un altro scrittore;
    4) legge per avere spunti, per continuare a sorprendersi di quel punto di vista a cui proprio non aveva pensato o a quello a cui stava giusto pensando e di cui, irrazionalmente, si sente defraudato da un libro andato in stampa mesi o anni prima.
    5) legge per analizzare l'intreccio narrativo del suo "rivale" alla ricerca di falle o di trucchi da provare a replicare;
    6) legge per innamorarsi di una parola, fonema volatile che nessuno avrebbe pensato di adagiare vicino ad un participio o ad un aggettivo a quel modo;

    Potrei continuare per ore, quindi passo alla successiva domanda: "perché lo scrittore scrive?"
    Su questa hanno dibattuto uomini e scrittori ben più arguti di me, posso dirti che nel mio caso c'è quella sublime e dispettosa sensazione di aver finalmente concluso qualcosa: una pagina decente, un periodo coerente, un aggettivo portante, un'idea che prima era lì che spingeva ed ora è sullo schermo, sul foglio, pronta a farsi sentire. E' l'unico caso in cui sento un'inaspettata sensazione di pace che si fa strada fra l'ansia creativa e la costante insoddisfazione per il risultato.
    Per quel momento io scrivo prima di tutto, prima che una nuova idea compaia e la smania di cimentarsi con essa prenda il sopravvento.
    Pierfrancesco

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