“La grande casa” di Nicole Krauss

Il centro di questo corposo ed ambizioso romanzo, il cui titolo si riferisce alla scuola religiosa e filosofica (La Grande Casa) che, secondo la tradizione ebraica, Yochanan ben Zakai fondò fuori dalla città di Gerusalemme sfuggendo all’assedio dei romani, si condensa  nel desiderio di rinascita e di rifondazione che, a detta dell’autrice, pervade l’uomo contemporaneo. 
L’essere umano, secondo Nicole Krauss (trentaseienne newyorkese di origine ebraica, con diramazioni familiari che la portano dalla Germania all’Ungheria) è alla ricerca di sensazioni e valori universali, da riscoprire e mettere al centro del proprio percorso. Di nostalgia, d'amore e di memoria. È soprattutto di questo che parlano le storie di Nicole Krauss, senza aver paura di farlo, immergendo il lettore in uno stile che ricorda i vecchi e sublimi romanzi ottocenteschi russi.  La grande casa, ha come protagonista una poderosa scrivania, che passa di personaggio in personaggio, di scrittore in scrittore, di dolore in dolore e soprattutto di mancanza in mancanza. Coloro che si trovano a fronteggiarla, stanno, per ragioni diverse, lottando contro se stessi alla ricerca di qualcosa che gli manca, per comprendere quale sia il loro valore universale, per continuare a difenderlo o a negarlo, senza che un tempo liquido e rapace dimostri che quella mancanza non sia mai esistita.
Il libro, che utilizza la tecnica dei continui salti temporali, costringendo il lettore ad una lettura serrata e continuativa, per non dimenticare gli indizi che Nicole Krauss dissemina abilmente lungo la storia, ci fa conoscere i più intimi pensieri dei vari  utilizzatori della scrivania, che proprietari di quell’oggetto e del suo segreto non saranno mai.
L’incipit è da manuale e fa subito affezionare il lettore al personaggio della scrittrice insicura e nostalgica per tutte le sue scelte incompiute, che ha avuto in prestito, anzi in gestione, la scrivania da un poeta, che a sua volta sembra averla avuta da un famoso scrittore. Il lettore si tuffa nella storia senza rete e si gode il sapiente uso delle metafore che percorrono l’intero testo, come una tessitura di stelle, che accompagna i lettori-esploratori nel viaggio di scoperta che hanno intrapreso e che i personaggi, per primi, sono costretti a compiere per svelarci finalmente il segreto di quell’unico cassetto chiuso a chiave che la scrivania conserva.
Nel prosieguo però, il testo sembra risentire della sua forte complessità d’intreccio, nonché dei salti temporali che sono inframmezzati da parentesi esplicative ed intimiste troppo ampie, che rischiano di far perdere memoria al lettore del tema principale.
Il romanzo comunque rivela importanti doti narrative, gestite con consapevolezza e arguzia, anche se personalmente ritengo le pagine più affascinanti quelle in cui l’autrice sembra scordarsi per un attimo di essere una delle migliori scrittrici under 40 del mondo (almeno secondo la prestigiosa rivista “New Yorker”) e riprende in mano la penna del verso poetico, con cui ha iniziato la sua carriera, lasciando che la parola corra, libera e scomoda a rovistare, come un animale selvatico e affamato, nel nostro inconscio.


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Commenti

  1. Condivido la tua analisi sull'uso delle metafore nel testo della Krauss, meno l'idea che il sistema di salti temporali ne rallenti la lettura perché caratterizzato da troppe parentesi autoanalitiche.
    Sono per me la parte migliore
    Diego

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  2. Ciao Diego, vuoi dirmi che non ti e' mai capitato di dover tornare indietro di buone cento pagine per vedere dove e a fare cosa avevi lasciato il personaggio di turno?
    Senza nulla togliere all'abilita' narrativa di Nicole Krauss, ho avuto l'impressione che abbia voluto mettere troppi "valori" e "mancanze" al centro del racconto.
    Pierfrancesco

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