Primavera digitale e mentale? Cento vasche al XXV Salone del libro di Torino.


State fissando il soffitto. Cemento, rotaie di cemento. Pulite, silenziose, attonite. Non avrebbero certo pensato di vedere al posto di ordinate e usuranti catene di montaggio un nugolo di cavallette impazzite, che si affanna a guardare, ascoltare, piluccare emozioni inconsuete in mezzo ad un mare di carta impilata, illuminata, spolverata e sconsolata. Atterriti i libri si uniranno alle travi di cemento de Il lingotto di Torino, domandandosi il perché di tanto frastuono. Undici mesi e mezzo di totale noncuranza e poi tutti qui a toccare lo strano oggetto di colla e carta che racchiude in sé mirabili segreti.  La maggior parte degli sguardi è di sospetto. Correranno, sì correranno, sguardi e orecchie, presi dall’ansia del tempo (poco) e delle cose da vedere e sentire (troppe) e inizieranno a spostarsi dal bianco assoluto di Einaudi, al rosso aggressivo di Feltrinelli, dall’azzurro dissacrante di minimumfax al giallo assorbente di IBS, dove la “primavera digitale”, sottotitolo e traccia dell’edizione 2012 del XXV salone del libro di Torino, esploderà in tutte le sue varianti virtual-accattivanti, cercando di farvi scordare la necessità di una “primavera anche mentale”. E voi? Forse spinti da una vertigine, un misto di gioia incontenibile e spasmi muscolari, a dimostrazione che il vostro corpo non è più in grado di stare dietro al desiderio di andare subito a scoprire quali perle rare si nascondono fra le migliaia di libri presentati in fiera,  vi ritroverete in uno spazio dedicato all’incontro con alcuni autori (esordienti ovviamente). Divisi ordinatamente in semi-esordienti, esordienti, super-esordienti e ultra-super-esordienti, a dimostrazione che in Italia si mantiene questo titolo almeno fino al quinto libro pubblicato, che vi racconteranno come sono riusciti ad essere pubblicati da un editore importante (Einaudi, Guanda e Dalai, per intenderci). L’intervistatrice di dodici anni si cimenterà con una domanda che nessuno che abbia una minima percezione del mestiere della scrittura avrebbe osato fare: “Com’è che vi è venuta l’idea di scrivere un libro e poi farlo pubblicare?” Momento di silenzio atterrito fra il gruppo di esordienti. Momento di silenzio post prandiale fra il pubblico, esiguo e confuso. Prima risposta: “Beh, l’idea non viene all’improvviso, io scrivo da quaranta anni e dopo decenni di rifiuti, lavoro accanito e false partenze, sono riuscita a trovare una persona che credesse in ciò che scrivevo.” L’intervistatrice è assente, pensa alla prossima domanda. Gli altri esordienti sono assenti, pensano a come rispondere in maniera più intelligente e simpatica della collega. Il pubblico è assente, avrebbe voluto sentire una bella storia fatta di fortuna e conoscenze, ma mai di impegno e tenacia. Troppo noioso e faticoso. Meglio cambiare stand, meglio girare un altro po’ in mezzo a tutti quei libri, magari comprarne uno di quelli piccolissimi. I “più piccoli libri del mondo” recita tronfio un cartello sopra uno stand multicolore. Miniature, che sia più facile leggere libri di dimensioni ridotte? Ve lo state chiedendo anche voi, mentre passate le dita su quei dorsi minuti, scoprendo che la maggior parte dei titoli sono dedicati a gatti, arte del giardinaggio e origine dei nomi.  Cambiate stand. Avete bisogno di un libro che vi faccia volare lontano, veloci, più veloci delle cavallette, fra pensieri folti e idee vivaci. E allora? E allora vi tocca, tuffatevi e cercate!  


Commenti

  1. Sarei voluta essere lì con te.
    Penso che mi sarei rifiutata di partire. Un giorno al salone del libro di Torino, soprattutto per come lo hai descritto, non può bastare.
    Grazie
    Laura

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