Twitter e il guerriero della luce.

È lunedì mattina, siete pervasi da quell’umore che stride con qualsiasi essere umano che respiri intorno a voi, l’auto non è partita perché sterminata dal ghiaccio e la metropolitana ha deciso di accogliervi con il consueto abbraccio fatto di migliaia di esseri umani in batteria, cui non è permesso muovere braccia o gambe, ma solo di respirare un miscuglio di deodoranti, dopobarba, sudori tiepidi, plastica surriscaldata e alcol che hanno intorno. Siete finalmente giunti a lavoro, convinti, una volta di più, che il tempo impiegato per stirare il vostro abito, tailleur o maglietta e pantalone (per i più fortunati) sia tempo bruciato. È in quel momento che vi ricordate che qualche burlone delle risorse umane vi ha convinto a iscrivervi ad un percorso manageriale, perché mentre parlava voi avete registrato quella parola “manageriale” e avete subito messo in pratica l’equazione manager = capo = promozione = soldi = potere = sottoposti, così gli avete sorriso, abitudine che avevate cercato di sradicare dalla vostra vita lavorativa al vostro secondo stage, consapevoli delle conseguenze lavorative che il sorriso può generare. Percorso manageriale. Già, solo che ora vi ritrovate seduti in circolo con altri colleghi intorno ad un biondino che ha la metà dei vostri anni e che vi spiega come far sentire a proprio agio le persone, come relazionarsi meglio con loro, come gestire il cambiamento, eccetera eccetera. Ma di dritte per imparare a far lavorare gli altri al vostro posto neanche l’ombra, per non parlare di notizie sulla vostra possibile crescita professionale. Ed è in quel momento che il biondino tira fuori un libricino dalla copertina blu e voi pensate: “Dio, fa che non siano aforismi.” Beh, sperare è sempre permesso, ma raramente si rivela utile.



Il libro in questione è Manuale del guerriero della luce di Paolo Coelho. Un inatteso momento di gioia se siete fra i sei milioni di followers dei tweet e retweet del prolifico scrittore brasiliano (che passa anche cinque ore al giorno al PC per aggiornare i suoi seguaci di ogni battito di ciglia che lui o un suo futuro personaggio stanno per compiere, creando uno dei più collaudati sistemi di autopromozione del mondo letterario), tutto un roteare di occhi e un accavallare e scavallare di gambe se siete nei restanti sei miliardi novecentonovantacinque milioni di persone che non bramano di tuffarsi fra le pillole di saggezza coelhiane. Nel frattempo il docente imberbe, ha chiesto, sì proprio a voi, di scegliere un numero. Scavallate le gambe e vi stringete nelle braccia, ne lanciate uno a caso ed ecco che il docente vi colpisce con un: “Un guerriero della luce non rimanda mai le sue decisioni.”



Tutti vi fissano. Cosa vogliono? Voi non siete un guerriero della luce, questo è evidente, altrimenti non sareste lì quel lunedì mattina ad ascoltare frasi da baci perugina. E non lo sono neanche loro, altrimenti non vi fisserebbero in attesa di una vostra decisione. Ma il docente non si arrende e continua: “Tu però sei triste. Ciò dimostra che la tua anima è ancora viva.” Bella scoperta. E allora? Come fate a non essere più tristi? Questo Coelho non lo dice, perché probabilmente il guerriero della luce lo sa e ciò è sufficiente. Se poi si decidesse a rivelarlo lo farebbe con un tweet e voi non lo leggereste perché ci avete provato, ma dire qualcosa d’intelligente o almeno di vagamente utile in 140 caratteri (un rigo e mezzo) non è per tutti. Si può fare promozione, girare un link che rimanda ad un altro link, che rimanda ad un concetto, che rimanda ad un testo, cui in pochi arriveranno perché non c’è tempo e nuovi tweet incalzano.



Vi viene in mente un’intervista di Toni Morrison che identificava nell'eccesso di egocentrismo uno dei problemi principali degli scrittori contemporanei, che hanno bisogno di parlare di sé senza aver anche la necessità, l’impellenza di dire davvero qualcosa. Vogliono essere i più clikkati, tweetati, hashtaggati. E questo rende, questo fa vendere, questo diffonde nuove vie di comunicazione con autori, pensatori, filosofi, politici, altrimenti irraggiungibili per i più. Ma ciò che interessa ai più clikkati è di comunicare o solo di essere quelli con più followers? E i followers, quelli che in quarantamila si sono dichiarati subito seguaci di falsi account di Umberto Eco, sono davvero interessati a interagire con Eco (che vorrei proprio vedere a condensare il suo pensiero in 140 caratteri) o gli fa solo piacere far vedere agli altri che fanno parte di quel gruppo? Pensate troppo. Per questo non siete ancora dei capi.

Commenti

Post popolari in questo blog

Un giorno come questo di Peter Stamm

L’ansia di fare, sì, ma di chi è la colpa?

Nessuno, nemmeno la pioggia, ha così piccole mani