Unioni civili e non: come ha risolto il problema Tennessee Williams


Rispetto della diversità, diritto a viverla e a condividerla, a mostrarla senza doversene vergognare, senza che qualcuno ritenga strano, ingiusto o “contro natura” che due spiriti affini vogliano vivere insieme ed avere gli stessi diritti di qualsiasi altre due persone nella stessa condizione emotiva e spirituale, a prescindere dal sesso degli esseri umani in questione. 


Non ci riferiamo al Governo italiano, ai suoi più o meno degni rappresentanti e alla via crucis della legge sulle unioni civili, che di civile sembra aver conservato ben poco. No, qui parliamo di un uomo che di questi temi discuteva e scriveva già negli anni ’50 del Novecento, con molti meno tabù e molto più coraggio di fronte a una platea di conservatori che non condividevano il suo punto di vista e, ciononostante, non potevano smettere di andare ad ascoltare le sue parole. Non potevano smettere perché quest’uomo, che aveva vissuto la diversità fin da bambino e che per questa era stato messo da parte, dileggiato e ferito da familiari e amici, era riuscito a superare tutte le differenze di genere, dimostrando l’universalità dell’essere umano come portatore sano di ipocrisia, meschinerie, paure e debolezze. Universalità che con la sessualità ha poco a che fare. 

L’uomo in questione è uno scrittore e un drammaturgo che portava il nome di Thomas Lanier Williams, divenuto famoso con lo pseudonimo di Tennessee Williams. Con opere rappresentate nei teatri di tutto il mondo, poi trasformate in film, come ad esempio La gatta sul tetto che scotta (premio Pulitzer nel 1954), portata poi sul grande schermo da Richard Brooks con Paul Newman e Elizabeth Taylor, Williams ha sdoganato la libertà di sensazione e di pensiero, dimostrando che una coppia gay (mi riferisco per esempio all’amore mai confessato fra Brick e Skipper ne La gatta sul tetto che scotta, amore che porta Brick a sposare Maggie e quest’ultima a costringere Skipper a fare l’amore con lei per dimostrare di non essere innamorato di Brick) non è né migliore né peggiore di una coppia etero e spesso vive nella stessa ipocrisia, come se fosse l’unica strada per rimanere insieme. 

È qui la forza di Tennessee Williams, raccontare così bene la “normalità” dei rapporti umani e soprattutto le debolezze, i piccoli ricatti, le recriminazioni su cui questa si fonda, da far perdere di vista allo spettatore il genere di coppia che si sta osservando.  E quando iniziamo a seguire i suoi personaggi nella loro discesa verso la rovina, cercando di convincerci che noi che li spiamo siamo “diversi”, ecco che Williams ci assesta il colpo di grazia e fa dire al suo Brick frasi come: «A volte mi sento così poco vivo che devo proprio iniziare a dire la verità.» Se ne rammarica, finge di farlo, ma sorprende tutti comunque e parla. Parla davvero, rischia il suo ruolo di personaggio minore del gran ballo dell’ipocrisia regnante solo per cercare un contatto con un’anima affine, che poi dovrebbe essere l’obiettivo di ogni unione, civile e non.





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