L’anno della post verità

Alzi la mano chi non si è mai imbattuto sulla Rete o sui media nella parola post-truth (post-verità)?

L’Oxford dictionary ha dichiarato ‘post-verità’ parola dell’anno, inserendola a pieni voti nella lista di lemmi contenuti nelle sue prestigiose pagine. Ma cos’è esattamente la post-verità? Il britannico dizionario la definisce come “un aggettivo che identifica una situazione in cui i fatti oggettivi sono meno determinanti nell’influenzare l’opinione pubblica rispetto alle emozioni o alle opinioni personali”. Il suffisso ‘post’ non si riferisce quindi al concetto temporale del ‘dopo’, ma assume un significato valoriale. ‘Post’ diventa sinonimo di ‘superato’. La post-verità è un luogo in cui preferiamo vivere, un posto dove la verità, quella ‘oggettiva’, sostenuta da fatti verificabili e dalla voglia/necessità di approfondire un’idea o una posizione prima di dichiararsene ‘certi’, non solo non esiste, ma diventa priva di rilevanza


Grazie alla post-verità siamo andati oltre la vecchia, noiosa e verificabile verità, costruendoci decine, migliaia di scenari alternativi dove sentirci a nostro agio. E se personaggi come Donald Trump riescono ad inglobare con la loro post-verità un intero pianeta, portando il concetto di fake news a nuovi e inattesi trionfi, la post-verità mania sta assumendo dimensioni universali, tanto da attirare l’attenzione di studiosi, scrittori, filosofi, critici e soprattutto influencer, la versione fake dei precedenti. Cloni di Paris Hilton e Chiara Ferragni, capaci di influenzare milioni di like (leggi persone?), non perché portatori di una conoscenza o di un’idea, ma solo della loro post-verità in cui è vitale comprare questo o quel cosmetico per ottenere successo nella vita. Non è più necessario dover inventare una qualsivoglia motivazione che giustifichi un’azione: lo dice Chiara, io lo faccio. Da post-verità a dogma in un colpo solo. Chissà che invidia proverebbero i ‘buoni’ vecchi dittatori di una volta, di fronte a tale disponibilità all’indottrinamento.   


L’effetto post-verità è diventato talmente virale che anche un critico letterario integerrimo come Michiko Kakutani, potentissima e temutissima responsabile della pagina letteraria del New York Times, dispensatrice, soprattutto prima dell’avvento della post-verità, di successi e flop letterari, decide di lasciare il suo ruolo di chief book critic, dopo quasi 40 anni (entrò nella redazione Cultura del NYT nel 1979), per scrivere un libro che si intitola, pensate un po’, The death of truth. Un testo con cui Kakutani cercherà di capire come la post-verità sia diventata concetto chiave del nostro tempo e perché il suo Paese abbia scelto consapevolmente di essere guidato da un uomo (Donald Trump) che detiene lo scettro degli inveterati 'post-veritiani' (con una media di ben 4,6 fake news al giorno). 


E noi? Quale sarà la nostra scelta? Poco importa se abbracceremo il vangelo della post-verità per ciondolare fra le nostre stesse fake news satolli e sicuri di noi stessi. Che la post-verità sia la chiave per la beatitudine? 


Commenti

Post popolari in questo blog

Un giorno come questo di Peter Stamm

L’ansia di fare, sì, ma di chi è la colpa?

Nessuno, nemmeno la pioggia, ha così piccole mani