L’arte di farsi ‘gabbare’? Alessandro Piperno mette a confronto Flaubert e Stendhal in una lotta all’ultima ossessione



«La risorsa migliore del lettore è l’autoinganno», parola di Alessandro Piperno che nel suo ultimo lavoro, Il manifesto del libero lettore, ricorda che se quest’ultimo non disponesse l’animo ad essere ‘gabbato’ dallo scrittore, oggi avremo ben poco di cui parlare quando discorriamo di letteratura. Ma più il lettore si fa ‘gabbare’, più diventa difficile ‘gabbarlo’, perché alla ricerca di nuovi stratagemmi, nuove iperboli semantiche e soprattutto nuovi punti di vista da cui osservare le storie che al fine son sempre le stesse. Da Omero al 2017 la famiglia, l’amicizia, l’amore e il suo fedele compagno odio, la ricerca di un senso nella vita e in se stessi, il viaggio fisico e mentale, si rincorrono come temi perpetui e interconnessi nelle storie che gli scrittori ci narrano  e a cui noi vogliamo credere. Davanti a questo compito si possono prendere diverse strade, spesso antitetiche, come quelle scelte da due autori francesi di cui proprio Alessandro Piperno, a Milano per un incontro organizzato dalla Casa del Manzoni, ha parlato a un gruppo di ‘gabbati cronici’ della lettura di cui ho avuto il piacere di fare parte. 


Gli scrittori in questione sono Gustave Flaubert e Marie-Henri Beyle, in arte Stendhal. Due autori che hanno interpretato la scrittura e il periodo storico in cui sono vissuti (XVIII-XIX secolo) in modo profondamente differente. Flaubert non scrive per raccontare delle storie, ma per cercare attraverso la scrittura uno stile, lo stile che differenzierà ciò che scrive da qualsiasi altro autore, identificando in maniera immediata e univoca il suo lavoro. Per questo la forma, il ritmo, la melodia del suo narrare prevale sul contenuto stesso della narrazione. Come ci ricorda Piperno, Flaubert sa, in ottica michelangiolesca, che la forma giusta per la sua storia è davanti a suoi occhi, è una sola e sta a lui trovarla attraverso l’abnegazione totale alla dea scrittura. E se Flaubert impiegava anche un mese per scrivere tre righe e una volta completata una pagina, trascorreva lunghe notti a eliminare da esse tutto ciò che non doveva esserci (a cominciare dai pronomi relativi), il lettore oggi può godere di tale ossessiva ricerca dello stile perfetto leggendo le pagine di Madame Bovary. 


La domanda da porsi è: ne valeva la pena? O meno provocatoriamente: c’era bisogno di dedicare la propria vita alla scrittura in maniera monacale e assoluta come ha fatto Flaubert per avere uno stile riconoscibile? A questa domanda può rispondere Stendhal che invece usava la scrittura per arrivare alle persone. Paragonato a Flaubert, Stendhal è sciatto, enfatico, iperbolico. Scrisse La certosa di Parma in soli 52 giorni di auto reclusione in una stanza di Parigi, dopo aver visitato a lungo l’Italia per documentarsi sulla famiglia Farnese. Lo fece di getto, utilizzando anche dei copisti a cui dettava il testo, tanto la sua ispirazione (termine che Flaubert odiava) era forte e dirompente. Dopo averlo finito, lo offre subito alle stampe, ricevendo una recensione da Honoré de Balzac in cui  l’autore di Papà Goriot saluta questa opera come un evento letterario, pur rammaricandosi della lingua ‘corriva’ usata da Stendhal, cui consiglia una attenta revisione. Revisione che non è mai avvenuta perché per Stendhal era la storia a dover prevalere sulla lingua. E lui non poteva rinchiudersi in una stanza per due anni a rivedere il suo lavoro perdendo così l’occasione di vivere,  trovando nel mondo esterno l’ispirazione per altre storie. Se leggiamo le pagine di Stendhal anche noi ‘gabbati cronici’ notiamo subito la differenza con Flaubert, non potrebbero essere più distanti, eppure con Stendhal siamo subito dentro la storia, la sentiamo pulsare come difficilmente ci capiterà con Flaubert, schiavo dello stile. 



Mentre Alessandro Piperno conclude la sua narrazione a cavallo tra due secoli e inizia a sistemarsi la giacca di tweed, cercando la via più rapida per tornare alla scrivania, che sono certo lo attende, ci rendiamo conto che non sappiamo quale fra l’idea di scrittura  ‘flaubertiana’ e ‘stendhaliana’ sia quella che predilige, anche se il sospetto che un flaubertiano convinto che tenti di rubare qualche dritta a Stendhal rimane. 

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