Il sindaco del rione Sanità secondo Mario Martone

Andare a uno spettacolo teatrale diretto da Mario Martone è come legarsi all’albero maestro di un veliero e lasciarsi trasportare dentro una tempesta di cui non siamo in grado di vedere la fine. Non sappiamo quando e se ne usciremo ed è questa consapevolezza a rendere il viaggio indimenticabile. E se nella mia mente si accende una piccola luce ogni volta che penso alla trasposizione di Martone delle Operette Morali di Giacomo Leopardi (del Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie ricordo ancora i movimenti di scena, i costumi, le pause e tutte le magnifiche domande che in esso sono contenute), l’esperienza de Il sindaco del rione sanità (in scena al Teatro Piccolo di Milano fino al 28 gennaio) è più simile a una discesa in un pozzo.

Capiamo subito che è assai più profondo di quanto ci appare, eppure l’attrazione che esercita su di noi è potente e senza scampo. A ogni battuta dei personaggi di questa commedia di Eduardo del 1960, capiamo che tutti gli eccessi e la volgarità di cui sono impregnati sono molto più prossimi a noi di quanto abbiamo mai osato pensare. Scopriamo che il boss Antonio Barracano, cui si rivolgono pietosi e penitenti gli abitanti del rione Sanità (quartiere di Napoli che lui controlla), è prima di tutto un uomo con sogni, rimpianti, amori più o meno dichiarati e aspettative per un futuro lontano dal potere che pure in lui sembra risplendere. E per questo che, quando si trova a dover risolvere l’ennesima faida basata sull’onore fra un padre e un figlio, decide di non ricorrere alla violenza. Eppure è grazie alla violenza che ha messo in atto per vendicare uno ‘sgarro’ che il giovane Antonio, figlio e nipote di pecorai, è diventato il boss del quartiere. Ed è sempre per merito della violenza che oggi ha una bella casa, una famiglia cui non fa mancare nulla e il ‘rispetto’ del rione Sanità. Ma quando incontra Arturo Santaniello (il padre della faida che Antonio vorrebbe ricomporre), che oppone la sua fiera ‘onestà’ alle richieste del sindaco del rione Sanità, ne rimane colpito e trattiene il suo istinto che lo porterebbe a costringere Santaniello ad accettare una pax camorristica con la forza. Lo fa pensando che forse la strada dell’onore non passa solo per la lama di un coltelloSarà una debolezza che Antonio Barracano pagherà con la vita, quasi Eduardo volesse ricordarci che alcune scelte non sono reversibili, indipendentemente dalle nostre illusioni. 

La dolce amarezza con cui Eduardo De Filippo ferisce e protegge i suoi personaggi, con un tocco che in questa pièce e paragonabile a quello di Shakespeare nel Macbeth, è stata amplificata dalla messa in scena di Mario Martone, con una regia che, pur attualizzando manie e debolezze dei protagonisti di questa storia universale, rimane molto fedele al testo, come se avesse la consapevolezza di trovarsi di fronte a un cubo di Rubik narrativo in cui ogni lato è già arrivato alla perfezione. Anche gli attori, Francesco Di Leva (un Antonio Barracano molto più giovane di quello creato da Eduardo) e Massimiliano Gallo (perfetto nel ruolo di Santaniello senior), sembrano sentire la responsabilità del testo che indossano per noi. Perfetti nel loro ruolo, come Martone, così attento a non inquinare il tocco eduardiano da perdere in slancio immaginifico, ma forse non ci sono abbastanza lustri a separarci da Eduardo per osare stravolgerlo.
    

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