L'ispirazione di Richard Ford

La vita. Forse sarebbe questa la risposta che vi darebbe Richard Ford se gli chiedeste da dove trae l’ispirazione per le sue storie. La vita in tutti i suoi movimenti impercettibili intorno a noi. È da lì che l’autore di Rock Springs, Sportswriter e de Il giorno dell’indipendenza (per cui ha vinto sia il Premio PEN/Faulkner sia il Pulitzer) parte per creare i personaggi e soprattutto i luoghi che fanno da sfondo alle sue storie. Luoghi che, come ricorda Sandro Veronese sono descritti in maniera così vivida e partecipata da diventare essi stessi personaggi. 

È proprio l’autore di Caos Calmo a intervistare Richard Ford nella serata organizzata alla Triennale di Milano da la Lettura, l’inserto settimanale de Il Corriere della Sera, per premiare il libro che una giuria di 300 giornalisti, autori e studiosi di letteratura ha insignito del titolo di miglior libro del 2017. Si tratta di Tra loro (edito da Feltrinelli e tradotto da Fabio Cremonesi), storia autobiografica che racconta le esperienze di un ragazzino bianco che vive nel profondo sud degli Stati Uniti (Jackson, Mississippi). Siamo alla fine degli anni ’50 del Novecento, in piena segregazione razziale, in un luogo “lontano anni luce da New York, dove nessuno scriveva o leggeva libri e bisognava imparare presto a difendersi perché l’odio era proprietà comune”. Eppure è proprio in questo luogo che il giovane protagonista di Tra loro si innamora delle storie contenute nei libri di William Faulkner e Eudora Welty e decide, dopo la morte di suo padre, di diventare uno scrittore. E lo stesso Richard Ford a raccontarlo ai suoi lettori accorsi alla Triennale: “Volevo fare per i lettori quello che i miei autori preferiti avevano fatto per me. Volevo scrivere libri perché fossero utili, senza pensare al successo o ai critici, ma per farlo avevo bisogno di tempo e di concentrarmi su una sola cosa, senza distrazioni. Il mese prima del nostro matrimonio [l’autore di Tra loro è sposato da cinquant’anni con Kristina Ford, cui dedica tutti le sue opere] ero ancora una volta senza lavoro, dopo aver provato inutilmente a fare qualsiasi cosa non fosse scrivere. Mia moglie mi chiese cosa volevo diventare nella mia vita. Io per la prima volta l’ho dichiarato: penso che farò lo scrittore. Lei mi disse: ok, allora io lavorerò e tu resterai a casa a scrivere. È così è stato”. 


Semplice, sentendo parlare questo grande narratore che si appresta a compiere il suo settantaquattresimo compleanno, sembra che ogni scelta nella sua vita sia stata semplice. Anzi rettifico (perché Ford è un amante della parola giusta al posto giusto) non ‘semplice’, ma ‘naturale’, perché semplice non lo è mai. Ascoltando la voce calda e pacata di Richard Ford che ripercorre le decisioni della sua vita, ci scopriamo a chiudere gli occhi e a entrare nel suo mondo, alla guida di una Buick Roadmaster del 1953 azzurra con il tettuccio bianco, mentre la polvere si solleva ai lati della strada al nostro passaggio e le insegne di legno attaccate ai palazzi bassi cigolano appena, lamentandosi per il caldo. Le ruote bicolori scorrono morbide e sempre più lente, affondando nell’asfalto come se fosse burro d’arachidi. Tra poco si fermeranno all’incrocio e tutto intorno sarà silenzio. È Ford che prende il controllo per ricordarci che scegliere è naturale come respirare, ciò che conta è sapere dove si vuole arrivare. 


E se è più facile raccontarlo quando il futuro ci ha dato ragione, permane il dubbio nel pubblico che quell’uomo dalle braccia lunghe e sottili, con i capelli bianchi come neve d’alta quota, sarebbe stato contento anche se avesse fatto il dottore, il contadino o il commesso viaggiatore come suo padre e “sarebbe andata benissimo così”. Ma forse siamo solo prigionieri in una delle sue storie.




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