L’essere umano? Il più indifeso fra i mammiferi social, parola di Jaron Lanier


Ci sono i cani e ci sono i gatti. Secondo un’amica manager delle Human Resources le aziende sono piene di cani, desiderosi di ricevere l’apprezzamento altrui e pronti a sacrificare tutto pur di ottenerlo. Lavorano tanto, si mettono in discussione e soprattutto sono sensibili alle reazioni dei loro colleghi e dei loro capi per soddisfare quel bisogno di accettazione da parte del branco che rende i cani così ‘amabilmente condizionabili’. Ma ci sono anche i gatti, che scivolano leggeri per i corridoi senza curarsi di chi gli passa accanto, capaci di creare una bolla protettiva fra le loro esigenze e quelle altrui. Con loro, le lusinghe (poche) e le punizioni (tante) con cui si ‘guida’ il comportamento dei cani non funzionano.


È proprio da questo punto che parte Jaron Lanier (informatico della Silicon Valley, padre della realtà virtuale ed ex grande sostenitore della Rete come strumento di libertà e democrazia) nel suo saggio Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (edito da Il Saggiatore e tradotto da Francesca Mastruzzo), convinto di poter portare i suoi lettori a fare il grande passo e riacquistare così il controllo della loro vita. L’essere umano, ci dice Lanier, è il più indifeso fra i mammiferi: non ha zanne, non è dotato di una particolare forza, velocità o aspetto che possa tenerlo a riparo dai predatori, trovando nella sua intelligenza la chiave per la sua sopravvivenza. Ma questa intelligenza è fortemente condizionata dalla capacità/necessità di sentirsi parte di un gruppo. L’uomo, Aristotele docet, è un animale sociale, che lo faccia per natura come sosteneva il filosofo greco o per opportunismo come riteneva Hobbes, l’individuo tende a rapportare la percezione che ha di sé con quella che hanno di lui gli altri membri del gruppo cui fa riferimento. Lanier ci dice che questo istinto automatico è stato potenziato a dismisura dai social che, da un lato hanno ampliato il gruppo con cui ognuno di noi si confronta (da un insieme ristretto come la famiglia, gli amici, i colleghi a un unicum immenso e indefinito: la Rete) e dall’altro, attraverso la nostra continua clusterizzazione, ci hanno rinchiuso in bolle che filtrano le informazioni cui possiamo accedere, decidendo di fatto il nostro umore, il nostro livello di soddisfazione e infine la nostra felicità.


In questa nuova configurazione del mondo l’uomo è in balia delle società FREGATURA (come le definisce lo stesso Lanier) che, attraverso un articolato sistema di algoritmi, ci spiano costantemente, influenzando i nostri gusti per farci diventare i consumatori ideali per questo o quel prodotto. Fin qui nulla (ahimè) di nuovo: tutti sappiamo (in maniera più o meno cosciente) che ogni volta che usiamo attivamente un social apponendo un like o una reazione a una notizia, stiamo elargendo informazioni gratuite a chi ci sta clusetrizzando a fini commerciali.  Ma cosa succederebbe se la nostra consapevolezza facesse un passo avanti, scoprendo che le informazioni che ci arrivano attraverso i social sono manipolate per generare in noi una reazione che ci predisponga a comprare? Una reazione che spesso è negativa, poiché fin dagli albori del mondo social ci si è subito resi conto che le sensazioni negative (rabbia, paura, odio, disgusto) generano molta più attività sulla Rete di quelle positive. “Far sentire peggio le persone è più engaging e quindi redditizio che farle sentire bene” e non perché ci sia un intento ‘malvagio’ dietro agli algoritmi che filtrano le informazioni cui accediamo nei social, ma solo perché rendere ‘aggressiva’ o ‘insicura’ una persona (a seconda che siate spinti ad agire in attacco o in difesa) è più funzionale a farle comprare un specifico prodotto (che poi sia un gadget high-tech, un servizio di lavanderia a domicilio o un il movimento politico di turno, poco importa all’algoritmo). Le società FREGATURA  ci bombarderanno di contenuti ed esperienze fino a rendere la nostra percezione della realtà instabile, mutevole, adattabile a ciò che la bolla cui siamo stati assegnati ci dirà essere la verità. Anche perché, se siamo i cani del social-mondo, saremo disposti a tutto pur di superare, almeno per qualche minuto di navigazione, l’ansia legata a come il nostro comportamento sarà valutato dai nostri ‘amici’. Scopriremo così di vivere nell’incapacità di ritagliarci uno spazio in cui non essere costantemente giudicati, diventano le prede ideali dell’ansia sociale con cui le società FREGATURA indirizzano stati d’animo e comportamenti. 



Con un linguaggio semplice e tanti esempi concreti, Lainer cerca di convincere il lettore della sua tesi in maniera onesta, cercando di insinuarsi nelle troppe e orrende certezze che dilagano nei social in questi ultimi anni.  E se davvero siamo condannati dalle società FREGATURA all’infelicità perenne, nel ruolo di prede o carnefici poco importa, la tentazione di cancellare subito i nostri account social e riprendere il controllo di noi stessi potrebbe diventare forte. Non so cosa vi porterà a pensare la vostra bolla social, il beneficio del dubbio però io lo concederei a questo signore, chissà che non si riesca a incontrare qualcuno che non la pensa come noi senza sentire il bisogno di insultarlo, chissà che non sia possibile tenere per noi stessi un momento di gioia senza che passi per il vaglio dei social per acquisire valore. E se proprio non riusciremo a stare senza social, a Siri, Ok Google e compagnia basterà un cenno per riaccoglierci.

Jaron Lanier



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