Ian McEwan, l’intelligenza artificiale e la questione morale


Alla XXIII edizione del Festivaletteratura di Mantova siamo in tanti a partecipare all’incontro con Ian Mc Ewan dedicato alla stampa. La location è quanto mai sorprendente per discutere di un libro (Machines like me, appena tradotto da Susanna Basso e pubblicato da Einaudi) che racconta di un triangolo fra un uomo, una donna e un robot. Per capire cosa ha spinto il grande romanziere britannico a confrontarsi con l’Intelligenza Artificiale e le sue implicazioni (morali, economiche, sociali e amorose), l’organizzazione del Festival ha scelto una sala che avrebbe fatto invidia a Tolkien. Con il suo lampadario in ferro battuto che si aggancia alle volte lignee con tanto di stemmi di cavalieri e un filare di sedie che sarebbero andate bene per circondare la tavola rotonda di re Artù. Eppure il contrasto fra location e tema del libro è solo apparente. Se infatti il romanzo di MC Ewan ci racconta di un 1982 alternativo in cui la Gran Bretagna ha perso la guerra delle Falkland ed Alan Turing non si è suicidato nel 1954, riuscendo a far compiere alla sua patria dei balzi quantici in termini di tecnologia e AI, la storia su cui si concentra l’autore di Sabatoè ancora molto umana, ricordando in alcuni passaggi le epopee dei grandi cavalieri e tanto buon teatro elisabettiano (i richiami a La Tempestasono molteplici a cominciare dal nome della protagonista femminile della storia: Miranda).
L’autore di Espiazione Cani neri, racconta in Macchine come me la storia di Charlie che riceve un’eredità inattesa e decide di comprare uno dei primi umani sintetici in commercio: Adam. Fra loro due e Miranda, una donna che vive vicino a Charlie e nasconde un oscuro segreto, nascerà un triangolo di passione e fraintendimenti degni del miglior Shakespeare. E proprio da questi tre personaggi vogliamo partire per chiedere a Ian McEwan come ha fatto interagire la parte emotiva dell’essere umano (in primis di Miranda e il suo desiderio di vendetta) con quella razionale (Adam, ma non solo)?
Al cuore del romanzo c’è una questione morale. Una donna che vuole la sua vendetta. Molti penseranno che ha ragione, perché l’uomo ha fatto delle cose crudeli, però lei per esigere a questa vendetta dovrà mentire, perché in alcuni casi le bugie sono giustificabili pur di avere giustizia. Si apre qui il dilemma morale del romanzo. Un essere umano artificiale non potrà mai avere la capacità di interpretare i principi morali come farebbe un uomo. Sarebbe impossibile programmare un algoritmo che gestisse le bugie a fin di bene. Adam è totalmente razionale e per questo prende decisioni che spesso sono distanti da quelle che avrebbe preso un essere umano. Chi ha ragione? Tra i lettori si creeranno due fazioni, io mi trovo al 51% dalla parte di Adam e al 49% dalla parte di Miranda. 

Il titolo di questo romanzo (Macchine come me) fa pensare al lettore che sia Adam, il robot, a raccontare la storia, invece tocca all’umano Charlie accompagnarci in questo dedalo di emozioni. Come mai?
Tutto parte da una scena nel libro in cui Charlie va ad incontrare il padre della ragazza che vuole sposare, un uomo colto, appassionato di lettura e poesia. All’incontro c’è anche Adam. Il padre si rivolgerà ad entrambi chiedendo cosa abbiamo letto di recente. Adam inizierà a chiacchierare di filosofia e letteratura, mentre Charlie rivelerà al futuro ‘suocero’ di aver sfogliato solo delle riviste di elettronica. Per questo il padre della ragazza penserà che l’umano sia Adam e non Charlie. Questo malinteso dà il titolo al romanzo. Certo, non mancano altri riferimenti come a Io, robotdi Asimov.
Quali vantaggi porterà l’Intelligenza Artificiale all’uomo?
Ci porrà davanti a uno specchio. Ci farà vedere i nostri limiti e le nostre emozioni. Ci obbligherà a fermarci e domandarci a che cosa serve quello che abbiamo sulle nostre spalle. Una macchina composta da un miliardo di neuroni. Ciascuno dei quali ha un collegamento con altri 7 mila neuroni.  Se fosse un computer, dovrebbe essere grande come questa stanza e impiegheremmo ettolitri di azoto liquido per raffreddarlo. Noi invece la raffreddiamo con il nostro corpo e ci fa consumare solo 25watt, il corrispettivo di una semplice lampadina. Questa macchina, il cervello umano, ha richiesto 4 miliardi di anni di sviluppo. Noi, con le nostre macchine di IA non ci avviciniamo minimamente a questo tipo di evoluzione. Abbiamo appena messo la punta del piede nell’oceano del cambiamento. Siamo ai primordi di quella che promette di essere una mutazione epocale. Certo, abbiamo già Alexache ci risponde in casa o i veicoli a guida autonoma, abbiamo cominciato. Pensate che già adesso i genitori discutono se i bambini devono essere abituati a dire ‘grazie’ e ‘per favore’ adAlexa, come se fosse un essere umano.

Come mai ha scelto proprio il 1982 per cambiare il corso della storia? Perché non ambientare il romanzo nel futuro? 
Avrei potuto scegliere qualsiasi periodo storico, ma comunque avrei ambientato il romanzo nel passato. Ho un pregiudizio nei confronti dei romanzi ambientati nel futuro. È un po’ troppo facile (ride). Preferisco prevedere il passato. Il presente è il più fragile dei risultati possibili. Se per esempio non ci fosse stato lo sviluppo del Cristianesimo che tenne imbrigliata la civiltà europea per secoli, avremmo potuto vivere la nostra rivoluzione industriale nell’XIII Secolo. Io ho scelto le conseguenze che avrebbe avuto la disfatta dell’Inghilterra nel 1982 e ho pensato a quanti anni avrebbe avuto Alan Turing in quel periodo se non si fosse tolto la vita (60) e cosa questo avrebbe voluto dire per lo sviluppo tecnologico del suo Paese. 

In questo romanzo si fa riferimento alla Brexit e ai suoi dilemmi sociali e morali, senza mai citarla, d’altronde non potrebbe esistere nel 1982. Ha pensato però di affrontare questo tema direttamente in un suo scritto?
Ho appena finito di un breve romanzo sulla Brexit.  Ho consegnato il testo giovedì scorso e penso che sarà pubblicato in una decina di giorni. È la storia di uno scarafaggio che si sveglia dopo una notte di brutti sogni nel corpo del Primo Ministro. Devo molto a Kafka per questa storia. Di più non posso dirvi.  Siamo in una forte tempesta oggi con la Brexit e certamente è un momento molto triste per il mio Paese. Siamo diventati una società divisa. Come negli USA, dove ci sono due culture, due civiltà che convivono nello stesso Paese. Tutte e due le parti da noi chiedono l’unità, ma lo fanno in maniera accusatoria verso la parte avversa. Ciò che abbiamo imparato da questa storia è che non bisognerebbe mai lasciare al popolo una decisione diretta su un tema complesso come la Brexit, specialmente se il sistema è maggioritario. Al referendum il 52% è stato a favore della Brexit, se lo rifacessimo oggi, le percentuali sarebbero capovolte, ma basta davvero il 2% a far prendere a un popolo una strada invece di un’altra?


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