Hans Castorp: chi era costui?

Quasi 700 pagine stampate con interlinea strettissima e riducendo al massimo i margini della pagina, fanno della casa di Hans Castorp un posto in cui non è rassicurante avventurarsi per un lettore che non sia avvezzo ai grandi romanzi russi o che, leggendo il titolo del romanzo di cui Hans è protagonista (La montagna incantata), si sia confuso con i più discutibili e recenti romanzi seriali, a base di vampiri e misteri insoluti, con isolati paesini e possenti manieri dalle sottili fondamenta letterarie. D’altronde la Corbaccio, che ha il merito di aver riproposto ai lettori una nuova edizione del possente romanzo di Thomas Mann nel 2011 nella collana “I grandi scrittori”, ha scelto per la copertina una tetra foto di Alan Powdrill che fa intravedere un lugubre lago avvolto da una cerniera di montagne, appiattito da pesanti nubi che stanno per catturare l’unico essere vivente che si sia avventurato in quei luoghi: un gabbiano, per il quale è facile immaginare un orrido destino. Quindi la possibilità di confusione per i lettori degli amori dei vampiri è alta.
Qui però il fascino della morte, di cui Thomas Mann è un abilissimo interprete (pensate a ”Morte a Venezia”) si fonde e confonde con un umorismo tagliente di quella che lo stesso autore ha definito una lunghissima short story che rappresenta “il trionfo di un ebbro disordine su una vita votata al massimo ordine”. Hans Castorp arriva da tutto questo ordine. Quando giunge al sanatorio che diventerà l’immutabile fondale per la sua iniziazione al disordine, è ebbro di solida e rispettabile coerenza.
Poi con un impalpabile flusso temporale passerà attraverso la malattia, l’amore, la passione, il razionalismo e il pessimismo irrazionale, ma in nessuno di questi transiti troverà il senso della sua ricerca. Perché Hans Castorp è un esploratore d’anime e questo gli farà scegliere l’attesa, l’immobilità come grimaldello per la scoperta.
Solo quando l’avrà trovata, rendendosi conto che “ci sono due strade che conducono alla vita: una è la solita, diretta, onesta. L’altra è brutta, porta attraverso la morte ed è quella geniale”, partirà per godere della sua scoperta, che lo porterà a sparire nella pancia della guerra.

Thomas Mann, nel suo discorso all’università di Princeton, chiedeva ai suoi lettori di leggere La montagna incantata almeno due volte per poter scoprire tutto quello che si trovava appena sotto la superficie del sua ampia short story. Non è un’impresa facile. Molti si cimentano con questo libro e molti lo abbandonano. “Troppi temi, troppi pensieri, troppe descrizioni, troppa poca azione, troppa autoanalisi, troppo ambizioso, troppo e basta.”
Questi i più comuni commenti che ho registrato sul libro da coloro che lo hanno abbandonato. Tutti onestamente comprensibili. Non vi dirò che questo è uno dei libri costituitivi della letteratura europea del Novecento, né vi dirò che un libro che bisogna possedere, leggere, respirare, come molti critici e scrittori ci hanno più volte ricordato.

Probabilmente è tutto vero. Ma quello che mi ha portato più volte a prendere, abbandonare, ricominciare, lanciare giù dal letto questo libro è stata un’unica domanda: chi era davvero Hans Castorp?

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