Lo skaz ed “Il giovane Holden”

Rimettendo in ordine dei vecchi libri, mi è capitato fra le mani “The Cather in the Rye” (Il giovane Holden) di Jerome David Salinger. Uno dei libri più conosciuti nella storia della letteratura moderna. Un libro di passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, che molti si saranno trovati a leggere negli anni in cui la rabbia è tanta ed è facile pensare di farla esplodere sul fasullo di turno rompendogli “tutti gli alluci che ha in corpo” (per usare una delle geniali e famigerate espressioni gergali di Holden/Salinger).
Chi di noi non ha desiderato, almeno per un giorno, essere Holden Caulfield e potersi così liberare dallo stuolo di babbioni che lo circondava? Per dire finalmente tutto ciò che aveva in mente, senza paura di scioccare, anzi con la passione nel farlo?

Io mi costituisco, a volte mi capita ancora.

Il giovane Holden è però anche un testo interessantissimo dal punto di vista linguistico, emblema del cosiddetto stile “skaz”, ossia legato ad una narrazione in prima persona che ha la caratteristica della parola parlata piuttosto che scritta.

Il lettore s’imbatterà spesso in continue ripetizioni, espressioni gergali, esagerazioni non giustificate, errori grammaticali. Insomma tutto ciò da cui qualsiasi manuale di scrittura creativa lo metterebbe in guardia. Eppure è proprio questo consapevole e sapiente miscuglio di inadeguatezze a rendere il libro perfetto e drasticamente nuovo. Pochi scrittori sarebbero riusciti a mantenersi, per l’intero romanzo, all’interno degli stetti binari del gergale di un diciassettenne, senza metafore poetiche, pretenziose riflessioni e salti ritmici.
Tutto è perfettamente integrato nella mente di Holden e scorre sulle nostre labbra limpido, lasciando che il sottinteso che pervade il racconto attecchisca un po’ di più in noi ad ogni rilettura.

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