A cento anni da Boccioni la vita è ancora dappertutto


Il 2016 non è soltanto l’anno in cui si ricordano i 400 anni dalla morte di Shakespeare. Nel 1916 scompariva uno degli artisti più poliedrici e instancabili del nostro primo Novecento. Parliamo di Umberto Boccioni: pittore, scultore e cofondatore del movimento Futurista, di cui ha scritto (insieme a Russolo e Carrà) il Manifesto nel 1910. Un uomo che riuscirà, con la continua messa in discussione di se stesso e delle sue opere, a non accontentarsi mai dei risultati raggiunti.


Per ricordare questo protagonista dell’avanguardia italiana, al Palazzo Reale di Milano (in questa città Boccioni ha vissuto proprio gli anni del Futurismo) è stata organizzata una mostra (Boccioni 1882-1916. Genio e memoria) che parte dalla scoperta di importanti documenti legati alla vita di Umberto Boccioni negli archivi della biblioteca civica di Verona. Fra questi c’è l’Atlante di immagini, raccolta di pensieri, domande e intuizioni che l’artista costruì per documentare l’evoluzione della sua opera e grazie al quale è possibile capire a quali pittori si è ispirato Boccioni durante le varie fasi del suo lavoro. Artisti come Dürer, Rembrandt, Van Dyck, da cui Boccioni acquisì la capacità di scavare a fondo nell’animo delle persone che ritraeva, un esempio per tutti il ritratto di Virgilio Brocchi che fa pensare a un personaggio di Delitto e Castigo di Dostoevskij.



Virgilio Brocchi - Boccioni - 1907

Ma la necessità di confrontarsi con nuovi stimoli portò presto Boccioni a misurarsi con i suoi contemporanei, a cominciare da Giovanni Segantini e Gaetano Previati, grazie ai quali Boccioni si avvicinò al divisionismo simbolista, apprezzando il tentativo di questi autori di innovare il linguaggio pittorico. Pensiamo all’impatto che ebbe il monumentale Materinità di Previati (una tela di 4 metri per 2 metri) esposta alla prima Triennale di Brera nel 1891, considerata la prima apparizione del Simbolismo in una esposizione ufficiale italiana.  




Maternità - Previati - 1891

La ricerca di Boccioni non si fermò qui, dall’Atlante scopriamo l’interesse per artisti come Frank Brangwyn, illustratore inglese, famoso per i suoi pannelli decorativi che enfatizzavano il valore del lavoro degli operai inglesi, cui Boccioni si avvicinò ancora una volta per sperimentare nuove tecniche pittoriche, un passaggio che lo avrebbe portato verso la destinazione per cui viene ricordato ancora oggi: il Futurismo. «I pittori ci hanno sempre mostrato cose e persone poste davanti a noi. Noi porremmo lo spettatore al centro del quadro», scrive Boccioni nel Manifesto tecnico della pittura futurista l’11 aprile 1910, puntando a una fusione dinamica fra spettatore, ambiente e spazio in continuo divenire.

Visioni simultanee - Boccioni - 1912

E quindi macchine, velocità, fusione fra figura, luce e ambiente, in un vortice di sensazioni inarrestabili che l’uomo cerca di intercettare, provando ad assorbire parte dell’energia che viene sprigionata da questa nuova rappresentazione della realtà. E in una frase di Nino Salveschi, che riportiamo alla fine di questo post, sta forse la descrizione perfetta di questo moto rotatorio a velocità crescente che Boccioni mostrò allo spettatore esterrefatto e rapito, anticipando di cento anni la velocità di scambio, pensiero e connessione cui internet ci ha abituato. Quella capacità che si richiede oggi a ognuno di noi: integrare piani, idee, convinzioni, necessità, come se fosse il sistema e non l’uomo a decidere.

«Disegnava rapidamente, ridendo e spiegando anche a se stesso: le cose che non stavano ritte, i tetti che s’aprivano, la folla che ondeggiava, la vita, la vita, la vita dappertutto… Ecco fatto. Era chiarissimo. Non è vero?»


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