Odore di casa



Ci sono pochi luoghi al mondo in cui sentirsi davvero a casa. Posti in cui ogni cosa che vedete, odorate, toccate vi fa sentire al sicuro. Ebbene quel posto per me ha pareti di carta e personaggi di inchiostro e si chiama biblioteca. Che sia una piccola e indipendente arroccata su ripiani Ikea o una immensa e autoreferenziale disposta su spessi scaffali di quercia, trovarmici di fronte mi instilla quella speciale euforia che vedo in mio figlio di quattro anni quando corre libero in un LEGO store. Non è tanto per ciò che potrà fare davvero suo, quanto per la promessa di meraviglia infinita che quel luogo regala. Lo vedo scorrazzare beato fra scaffali e teche a velocità crescente, come se le gambe fossero in gara con gli occhi per incamerare il maggior numero di emozioni che solo quel luogo può offrire. 

Allo stesso modo io corro con le dita a sfiorare i dorsi che si spingono gli uni con gli altri sugli scaffali (ne sono sicuro) pur di essere scelti e riportati alla vita da chi li navigherà senza timore di perdersi fra le loro storie. Ma cosa accade se i libri intorno a voi sono centinaia di migliaia, disposti su più file, come gendarmi del più folto esercito di mercenari mai esistito, pronti a dimostrare tutto e il suo contrario pur di essere sollevati dalla vostra mano?
Ebbene a me è accaduto (e accade ogni volta mi rifugio) nel luogo che più di tutti mi dà una sensazione di serenità e di meraviglia a Milano: la biblioteca Braindense. Nascosta nei labirintici porticati settecenteschi del palazzo che ospita la Pinacoteca di Brera, l’accademia delle Belle Arti e fa da sponda all’orto botanico, è facile passare davanti al cancello polveroso che permette l’accesso ala biblioteca Braidense senza accorgersene. Eppure salendo il severo scalone progettato da Piermarini (glorioso e glorificato architetto del XVIII secolo, a cui si deve anche il teatro alla Scala di Milano) vi troverete di fronte a un portone di legno scuro con ante di vetro. Appoggiate saldamento il palmo della vostra mano e spingete, state per oltrepassare il confine di un mondo di meraviglie che avrebbe fatto innamorare Lewis Carroll. 
Fra pareti che hanno ospitato l’antico ordine degli umiliati (a partire dal 1150) e poi il nascente ordine dei gesuiti (a partire dal 1570) e soffitti avvoltati degni di un palazzo di una grande corte europea, disegnati dal Piermarini per Maria Teresa d’Austria, sono conservati centinaia di migliaia di libri (la biblioteca a oggi ha un patrimonio di più di un milione e mezzo di volumi). Dai manoscritti agli incunaboli, passando per autografi, cinquecentine e ‘normali’ volumi, siete appena entrati in uno dei più antichi database che Milano possa offrire. Restate fermi, assorbendo, nel silenzio che vi avvolge, l’odore di noce stagionato, di carta consumata e di inchiostro secco, convinti che basterebbe uno scricchiolio a svegliare i folletti che di certo vivono fra gli scaffali che ricoprono ogni superficie che vi circonda. Ma la voglia di avvicinarvi a tale incanto è più forte del rischio di trovarvi imprigionati in uno di quei volumi: un paio di passi ed entrate nella Sala Maria Teresa. 

Intorno a voi, a spintonarsi sugli scaffali in radica su più livelli, 24.000 volumi vi osservano domandandosi a che cosa serve quello strano sacco di carne al centro della sala e come diavolo si farà a sfogliarlo. Sollevate la testa alla ricerca di un alleato, ma il lampadario di cristallo, portato in questa sala dopo la distruzione del palazzo reale durante la seconda guerra mondiale, ha visto cose ben più interessanti di voi per prendersi il disturbo di far suonare le sue centinaia di gocce e distrarre i libri, ma dopotutto siete lì per parlare con loro. 



Vi avvicinate a uno scaffale per lasciare che i vostri polpastrelli scorrano sui dorsi avanti e indietro. Sentite le loro voci, milioni di storie si sovrappongono, ognuna intenta a dimostrare quanto sia più interessante delle altre e tutto questo per voi. Siete il più fortunato sacco di carne che esista al mondo, il lampadario, geloso, ha preso a dondolare, producendo il suono di un ghiacciaio che scricchiola, ma di voi resta solo l’involucro, la vostra mente sta correndo a perdifiato nel salone godendo della promessa di meraviglia infinita che quel luogo regala. 


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