Non siamo ancora pronti a diventare un prodotto, parola di Mark Rothko

Se vi capitasse di visitare la Tate Modern a Londra, andate al secondo piano, dove ci sono le rotazioni delle collezioni permanenti della grande galleria di arte moderna che la città ha ricavato riqualificando una centrale elettrica. Sul vostro percorso apparirà una stanza con le luci soffuse dove sono appesi grandi dipinti dalla forma quadrata in cui il rosso nelle sue varianti più sanguigne e cupe si fronteggia con neri dagli accenti violacei. Al centro delle sala ci sono due panche di legno, sedetevi su quella che preferite, fate silenzio, osservate e ascoltate, quei quadri hanno molto da raccontarvi. 


Si sono fatti compagnia fin dalla nascita. Fin da quanto il loro creatore, Mark Rothko, ormai cinquantenne, li ha creati su commissione per il Four Season di Park Avenue a New York fra il 1958 e il 1959, quando la sua opera aveva iniziato ad attirare l’interesse dei collezionisti per i suoi luminosi arancioni e gialli, in un periodo in cui un gruppo di autori che potremmo definire genericamente ‘espressionisti’ (pensiamo a Pollock, Gottlieb, de Kooning, Still, Kline, Newman e Motherwell) prendeva possesso della scena artistica e culturale americana. Rothko, faceva parte del movimento Colorfield Painting, ovvero pittura delle campiture, in cui ad assumere il ruolo centrale è la forza scaturita dal colore e le emozioni che esso suscita. Niente soggetto, paesaggi, volti, forme, linee, solo colore. Per capire come queste tele si sarebbero parlate e cosa avrebbero comunicato alle persone con cui sarebbero entrate in contatto, Rothko aveva ricreato nel suo atelier, una palestra dalle finestre oscurate, lo stesso setting del Four Season, utilizzando dei carrelli su cui fissare le tele perché potessero muoversi nello spazio e fronteggiarsi mentre lui le completava. I colori che furono scelti però non erano più appartenenti alla calda tavolozza dei gialli e degli arancioni, ‘colori brillanti e allegri’ per cui la committenza lo aveva scelto, ma a un universo di rossi bruni, marroni e neri. Influenzato dalla sua visita alla biblioteca laurenziana di Firenze, con le sue finestre oscurate per proteggere i volumi e rendere l’atmosfera delle sale più adatta alla riflessone, Rothko decide che anche le sue opere dovranno essere immerse nella penombra e nel silenzio. Gli stessi colori scuri scelti sono funzionali a precludere ogni via di fuga al pensiero dell’osservatore, che non ha così altra scelta che mettersi al cospetto dei suoi demoni interiori. 


Come narrato nel superbo testo teatrale di John Logan ispirato proprio a questa fase creativa di Mark Rothko (Red), una pièce che andrebbe letta più di una volta come esercizio di scavo nelle voci che popolano la nostra mente, i due anni che sono serviti per completare questa serie di dipinti, hanno rappresentato per l’artista una vera e propria discesa negli inferi, durante la quale mettere in discussione tutte le sue certezze e quelle della società che lo circondava. Una società che sembrava, già allora, solo alla ricerca della propria continua auto-soddisfazione perdendo in significato: «A tutti piace tutto oggigiorno. - decreta il Rothko di Logan - Gli piace la televisione e  la musica, la soda pop e lo shampoo, persino i Cracker jack. Ogni cosa si trasforma in un’altra e tutto è carino e bello e likable. […] dov’è il giudizio che separa ciò che mi piace da ciò che rispetto?»  


Mentre siete seduti a osservare quelle fastidiose finestre nell’oscuro che Rothko ha preparato per voi e la vostra narrazione mentale prenderà il sopravvento, risucchiandovi in un gorgo di domande scomode, non cercate il vostro smart-phone, non pregate affinché entri qualcuno nella sala e vi distragga con una risata, non convincetevi che il fish and chips che avete ingurgitato prima di entrare alla Tate si stia trasformando in un Alien che sta dilaniando il vostro stomaco, respirate e ascoltate i colori, vi diranno che non siete ancora pronti a diventare un prodotto da promuovere, che non siete disposti a far evaporare la vostra anima pur di avere un like in più



A proposito, alla fine Rothko ha restituito i soldi della commessa al Four Season, per questo oggi i dipinti si trovano alla Tate. Si può superare la linea della likabilità e tornare indietro. 


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