La ricerca di Bernardo Bertolucci

Ci sono sensazioni che non si consumano in un respiro, ma ci arpionano l'anima e ad ogni tentativo di ignorarle, penetrano sempre più in profondità, diventando parte integrante del nostro essere. 


Io ricordo un bambino vestito d'oro, con un cappello a punta e delle strane babbucce, tutto intorno silenzio. Percorre un lungo corridoio oscuro, un bisbiglio, il vento lo attende per svelargli chi è. Un sipario zafferano si illude di essere più importante del sole perché tutti in una immensa piazza lo adorano. E poi il bambino solleva il sipario e un canto ritmico scandisce la sua scoperta: il sole entra nella piazza e s'inchina davanti al ragazzo, l'ultimo imperatore della Cina. 


A Bernardo Bertolucci sono legati molti ricordi, rimasti vividi grazie alla sua capacità di girare attorno all'anima dei suoi personaggi aspettando che lo spettatore compisse l'ultimo passo, alla sua mania di perfezionismo, al suo essere Capitano Achab per le nostre paure più remote, facendocele inseguire fin nell'ultimo cassetto della mente. Ci ha ricordato che le certezze sono compagne pericolose e che la diversità è un diritto oltre che un valore. Dei suoi film oltre a L'ultimo imperatore, L'ultimo tango a Parigi, The Dreamers, Il tè nel deserto e Novecento, un posto speciale nel mio zaino emozionale lo ha Io ballo da sola. Ricordo quando sono andato a vederlo. Avevo 21 anni ed era l'estate del 1996. Circondato da centinaia di persone, in uno stadio sportivo di una città del  meridione sospesa in una bolla di autoreferenzialità. L'audio spinto nelle nostre orecchie da casse scoppiettanti, il telone fissato sopra le sbarre bianche della porta del campo da calcio. Sembrava una vela abbandonata dal vento, ricurva com'era in se stessa. C'erano tanti ragazzi, li guardavo mentre si lanciavano popcorn e sorridevano sornioni davanti alla voluttà apparentemente inconsapevole di Liv Tyler, aspettando la scena di sesso che la recensione che uno di loro aveva in mano dava per certo alla fine del film. 


"Preferisco essere al centro della mia solitudine piuttosto che rimanere nell'angolo della vita di qualcuno". Fu questa frase a costringermi ad osservare lo schermo, a capire quanto eravamo simili io e Lucy Armon (la ragazza americana interpretata da Liv Tyler arrivata in Toscana per trascorrere un'estate a scoprire se stessa) nel pretendere che la nostra vita avesse uno scopo e quanto avrei desiderato un mentore come Alex Parrish (un Jeremy Irons scanzonato, malato e dispensatore di ottimi consigli che per di più tutti avremmo giurato che lui avesse messo in pratica). 
Dov'erano nascoste comunità aperte e interessanti come quella descritta da Bertolucci? E perché io ne ero escluso? Fu in quel momento, lo capii solo molto tempo dopo, che decisi che io l'avrei cercata, a costo di fare di quella ricerca il centro della mia esistenza. 

Sto ancora cercando e per questo ringrazio anche Bernardo Bertolucci. Buon viaggio. 

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