Il percorso del silenzio.

La mia conoscenza della Transavanguardia italiana, prima di un fortuito incontro con Mimmo Paladino in un infuocato pomeriggio milanese, si limitava ad un vago posizionamento di questo movimento artistico (che teorizzava il ritorno alla manualità e al  gioioso utilizzo dei colori) da qualche parte all'interno degli anni '80 dello scorso secolo. 
Poi qualche giorno fa mi sono ritrovato a camminare senza meta per una Milano chiusa in un forno ventilato che, a giudicare dall'odore, sembrava non essere stato pulito da anni.

Io ero la portata principale di uno chef  sotto effetto di anfetamine, che aveva deciso fosse una buona idea spellare vivo uno scrittore depresso, mischiando le sue sempre fittissime paturnie con il frusciare di buste e sacchetti che, insieme ad un universo di maniaci dello shopping, affollavano piazza duomo alle 18:30 di un martedì qualsiasi (nonostante i 34 gradi celsius e il 95% di umidità).


Fu allora che vidi che Palazzo Reale era aperto ed ospitava la mostra di Paladino. Entrai, senza molta convinzione. Avevo già visto la sua montagna di sale a Napoli qualche anno prima (la stessa che campeggia ora al lato del duomo di Milano) e non mi aveva  convinto. 
Sensazionalismo tout court”. Così l'avevo presuntuosamente schedata a suo tempo, ma quel martedì faceva troppo caldo e il palazzo sembrava antico e dai soffitti alti, probabilmente capaci di abbassare di qualche grado la temperatura al suo interno.
Iniziai a vagare per le sale con il cervello immerso in una vasca di sudore: uomini bruciati che cercavano di entrare in un muro, rami che cercavano di uscire dal dipinto, commistioni fra pittura e scultura che si susseguivano dietro ai miei occhi, senza trovare una ragione. Stavo per abbandonarmi, sempre più depresso, su una delle esili panche bianche che costeggiavano il percorso della mostra, poi la mia inguaribile curiosità “per ciò che è un po' più in là”, mi ha spinto ad entrare in una sala defilata. È lì che ho scoperto "Dormienti", un'opera immensa che Paladino ha presentato per la prima volta a Londra alla fine degli anni '90.
Una serie di corpi in terracotta che, perlopiù rannicchiati a terra in posizione fetale, a volte interi, a volte solo abbozzi delle forme in cui l'osservatore si può facilmente riconoscere, dormono. Tutt'intorno suoni ad accompagnarli, a sfiorarli, ad assaggiarli, a spiarli, a percorrere la strada che il mio stesso occhio sta seguendo in mezzo a loro, incuriosito, spaventato, nel trovarsi da solo, per la prima volta davvero con la testa “in silenzio”.

Mi sono seduto e ho aspettato che passasse quello strano stordimento non più dovuto al caldo ma al mio essere che assorbiva gli angoli di quei volti di terracotta e filtrava i suoni che si diffondevano nella stanza, sminuzzandoli in tasselli che relegavano la mia volontà al silenzio.
Ecco il protagonista di quell'opera per me, aggressivo e furbo, si era impossessato di me attraverso il canto di grilli invisibili che sembravano occupare ogni interstizio, ogni crepa che abbracciava i dormienti. Silenzio, che privava la voce di un senso e la mente di tutti i suoi denti, affinché non potesse più assaggiare il rumore del suo spirito. Silenzio.  

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Commenti

  1. Mi ha colpito profondamente il tuo "percorso del silenzio", l'ho quasi visto, liquido che si insinuava fra te e i corpi di terracotta di Paladino.
    Non so se l'autore sia da rivalutare, ma una riflessione ora la merita.
    Dario

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