Libri come palchi di un teatro

Un bosco, scaffali come alberi e libri come foglie, perché i libri non sono corpi morti…

Qualche settimana fa, su “La Repubblica” è stato pubblicato un articolo su Roberto Roversi, ben due pagine dedicate allo scrittore e poeta italiano, cofondatore della rivista Officina (insieme a Leonetti e Pasolini), nonché creatore di una delle più interessanti librerie storiche d’Italia (Palmaverde a Bologna) aperta nel 1948 e chiusa nel 2006, anno in cui Roversi ha deciso di ritirarsi a vita privata e vendere tutta la sua incredibile collezione di volumi, quelli che ha desiderato, attaccato, riletto, venduto, sempre con una sensazione di perdita, per chi, amando a tal punto i libri, ne ha fatto amici, tutt’altro che silenti; attenti alla vita che gli si consuma attorno, stretti sugli scaffali, comepalchi di un teatro” (è lo stesso Roversi ad utilizzare questa metafora), i libri sono pronti ad attaccare quando l’uomo che si è votato alla loro cura non li soddisfa. 
L’idea dei libri che ha Roversi e simile a quella che l’uomo aveva delle divinità della mitologia greca. Dotati del potere di decidere senza preoccuparsi delle conseguenze, depositari di conoscenza e spavalderia, rendono possibile ciò che l’uomo comune può solo desiderare. Ma stando troppo ad osservare l’essere umano, i libri, come gli Dei dell’Olimpo, hanno assorbito le sue mancanze. Possono essere allora aggressivi, impazienti, arroganti, fino a costringere il loro "proprietario" a darli via, quando non riusce più a misurarsi con la loro vista. Possono essere perfidi i libri, ma come ci racconta il Roversi poeta, provvidenziali. Quando, ad esempio, nel 1944 lo salvarono dalla diserzione. In quel caso fu Goethe a trovare Roversi, instillando nella sua mente, resa inabile dall’orrore della guerra, la speranza, la certezza che anche quella violenza avrebbe avuto una fine. 
La figura di Roversi è quanto mai discussa e atipica nel panorama letterario italiano, non soltanto perché è stato un autore che si è cimentato con tutte le principali forme di scrittura (poesia, narrativa, teatro, testi musicali), dimostrando che la contaminazione spesso è la chiave per l’innovazione, ma anche per la scelta fatta di abbandonare i grandi editori con cui aveva iniziato la sua carriera (Mondadori, Einaudi, Rizzoli). Roversi decise di tenere molte delle sue opere per sé, scegliendo di essere libero di condividerne solo alcune, quando voleva e solo con i suoi amici (noti o ignoti che fossero). Come quando infilava alcuni suoi versi nei libri che spediva in Canada o in Giappone, a suggellare il rapporto che si stava creando fra chi lasciava andare e chi accoglieva un libro. Perché il libro è un universo vivente, come ci ricorda lo stesso Roversi nella frase che ho inserito come incipit di questo post, e come tale dovrebbe essere trattato, anche prima di iniziare a leggerlo. Dedicando un po’ del nostro prezioso tempo ai convenevoli, a predisporre la mente al pensiero, a fare conoscenza con una nuova divinità, che è spettato a noi scegliere e che spetterà a noi vivere e preservare.

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Commenti

  1. Mi è piaciuto molto l'amore per il libro che traspare da questo post, soprattutto la metafora dei libri che sono come "palchi di un teatro". Ammetto di non conoscere Roversi scrittore o poeta, mentre ne avevo sentito parlare come libraio.
    Dario

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  2. Sto andando a cercare uno dei suoi primi scritti, troppo curiosa! Chi rinuncia a mettersi in vetrina oggi?
    Livia

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