L'influenza di Bloom: un libro e un invidiabile stile di vita

No, non parliamo del Leopold Bloom di Joyce, sebbene i riferimenti al grande scrittore irlandese non mancheranno, né certamente del più (ahimè) famoso attore britannico dal passato picaresco (Orlando Bloom). Il post di questa settimana è invece dedicato ad una delle figure più influenti e temute della critica letteraria statunitense. Parliamo di Harold Bloom, un uomo che ha dedicato l’intera esistenza alla lettura, trasformandola nel suo lavoro ed influenzando con le sue opere di critica letteraria (quasi 40 titoli) l’intero panorama letterario mondiale. Ancora oggi negli ambienti letterari si discute sulla validità del suo “Canone Occidentale”, la famosa lista stilata da Bloom nel 1994, in cui il critico proponeva un dettagliato, ragionato e ridotto elenco di autori da salvare, partendo ovviamente da Omero, il padre del canone occidentale (ammesso che davvero ne esista uno), muovendosi poi attraverso Dante, Chaucer, Molière, Cervantes, Leopardi, senza dimenticare l’autore che più di tutti lo ha appassionato: Shakespeare. Bloom l’ha definito l’unico scrittore davvero capace di “creare con la penna esseri umani”, aprendo a noi lettori un microcosmo vivo e integrato da cui difficilmente ci vorremo staccare. La forza Di Shakespeare sta, secondo Bloom, nella continua esigenza di ridefinire se stesso nei suoi personaggi, per questo forse una delle opere shakespeariane più amate da Bloom è l’Amleto. Carico di passioni e di dubbi, Amleto non ha paura di riversarseli addosso ogni giorno, ogni attimo che il suo respiro scandisce, pur di comprendere la verità della natura umana e condividerla con tutti noi.
In autunno, anche in Italia, sarà pubblicato (da Rizzoli) l’ultimo libro di Bloom: Anatomia dell’influenza. La letteratura come stile di vita. Se non vi siete mai confrontati con Harold Bloom, potrebbe essere l’occasione per ripercorrere le esperienze di lettura di un libro-maniaco d’eccezione come lui, accompagnati dal  caustico ed implacabile giudizio che lo contraddistingue. Scoprirete così che nella ristretta famiglia degli scrittori (veri) ci sono posti limitati, soprattutto per i contemporanei, che spesso Bloom considera troppo sottili per confrontarsi degnamente con lo spessore di Whitman, Shakespeare, Dickinson o Dante. Certo, ci dice il “Bloom lettore”, bisogna leggere e ri-leggere molto (soprattutto la poesia) per poter giudicare, ma è impensabile per il “Bloom critico” il paragone fra autori come David Foster Wallace e James Joyce (più volte tirato in ballo da buona parte della critica anglosassone), così come, pur apprezzando McCarthy e quello che da Bloom stesso viene definito “uno dei romanzi più originali del ventesimo secolo” (Meridiano di Sangue), non sta in piede il confronto fra lo scrittore del Tennessee e William Faulkner, il suo inarrivabile maestro .
D’altronde è sempre Harold Bloom che ci ricorda quanto la letteratura occidentale sia fatta di agonismo incurabile. Quello di Dante verso Virgilio o di Shakespeare verso Marlowe, ricordandoci però che in pochi (e per questo eterni) sono riusciti davvero a superare la prova. 
Ma non voglio svelarvi di più, vi rimando all’Anatomia dell’influenza, aspettando di scoprire che (sempre di più) la letteratura è diventata un invidiabile stile di vita.

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Commenti

  1. Il titolo del libro e' quanto mai intrigante...anche se ciò che mi ha colpito di più del tuo post e' il tema dell'agonismo culturale di cui siamo schiavi
    Sara

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