Jonathan Coe torna a Milano per la settima edizione di BookCity


I libri hanno ricamato i bordi di tutta la mia vita. Da quelli a forma di nuvola della pre-adolescenza, gonfiati dalla fantasia di Kipling, Dumas e Verne, a quelli vivi dell'adolescenza, scheggiati da Dostojevski, Hesse, Dickinson, Leopardi, Pavese, Poe, Majakovskij, Kafka fino all'età adulta con Coetzee, Safran Foer, Solzenicyn, Woolf, Vonnegut, Cunningham, McCarthy, Coupland, Bishop, Capote, Thomas, Calvino, Mann, Murakami, Piperno, Tabucchi & C. dove i bordi hanno cominciato a prendere forme proprie, forse incoerenti le une con le altre, ma necessarie per portarmi dove sono adesso: a cercare di capire cosa c'è fuori e dentro quei bordi.


Un 'bordo' cui tengo particolarmente è La casa del sonno di Jonathan Coe. Non solo perché mi portò alla scoperta di questo caleidoscopico autore, che fa della debolezza il punto di forza dei suoi personaggi, ben sapendo che questo porterà loro dolore e scomode scoperte che gli garantiranno però occhi e orecchie più grandi per soppesare il mondo, ma anche perché fu il primo romanzo che lessi in tandem. Un amico per 'puro caso' (io amo pensare che ci sia un'affinità cosmica che collega le scelte dei lettori) si aggirava fra gli scaffali di una Feltrinelli della sua città, mentre io facevo lo stesso nella mia, entrambi annusavamo l'oceano di copertine in cerca di una storia che non evaporasse al primo cambio di stagione. La casa del sonno. Fummo incuriositi dal titolo e dalla struttura della storia di Coe (una sorta di castello dei destini incrociati di calviniana memoria) e ci portammo a casa il libro. Non appena scoprimmo di leggerlo in contemporanea, iniziò un botta e risposta di commenti, dubbi e domande che ci accompagnarono e ci accompagnano ancora nei nostri giorni. Conservo ancora il ricordo di quei primi scambi e l'euforia di riuscire a condividere qualcosa di vero di me con un altro essere umano senza paura di essere giudicato, come se bastasse essere un lettore per lasciare in sospeso il giudizio, per poter credere che esista un'altra idea di mondo oltre la tua, degna di essere presa in considerazione. 


Per questo non riesco a sottrarmi a un romanzo di Coe, anche se dopo La Banda dei brocchi, non è riuscito più a emozionarmi come un tempo. A Milano, li prossimo mese, in occasione della settimana edizione di Book City (dal 15 al 18 novembre - festa del libro che a Milano invade letteralmente ogni angolo della città, facendone uno splendido evento diffuso) Jonathan Coe presenterà il 15 novembre al Teatro Dal Verme il suo ultimo romanzo (Middle England edito sempre da Feltrinelli) che, a distanza di anni, riprende la storia della famiglia Trotter alle prese con la Brexit e con la crisi di identità politica che sta attraversando la Gran Bretagna in questi ultimi anni. Chissà che l'aggancio con i Trotter (protagonisti proprio de La Banda dei brocchi) non riesca a farmi ritrovare il Coe di cui mi sono innamorato. 


Io comunque il 15 novembre sarò pronto ad ascoltare. 
 

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