Il viaggio per pordenonelegge parte da lontano, comincia da un uovo e da una manciata di domande.
Sull’ultimo numero de L’Espresso è apparsa la consueta bustina di Minerva di Umberto Eco, dedicata questa volta ai festival letterari e al loro successo crescente. Eco s’interroga sul motivo che porta “folle da stadio” (ipse dixit) a partecipare a lunghe maratone di parole, in cui scrittori, giornalisti, filosofi e registi si interrogano e ci interrogano sul significato di una storia, di un personaggio o di un semplice aggettivo. Una delle possibili risposte che Eco ci propone è l’inadeguatezza della socializzazione virtuale. La necessità della folla di cinguettanti e facebookanti unità a interfaccia umana di interagire dal vivo. Sarà vero? Come avrebbe fatto uno scienziato, sono partito dall’osservazione sul campo e nella notte di venerdì ho lasciato Roma e attraverso un frastagliatissimo network di treni, aerei e auto, sono arrivato a Pordenone per la quattordicesima edizione di pordenonelegge, festa del libro con gli autori. Mentre viaggiavo pensavo: ma cosa distinguerà queste folle da quelle che si precipitano allo stadio, ai provini di un reality o a sentire un concerto di LadyGaga? Tutto, forse niente. Sono sempre persone, sono sempre desiderose di esserci ed essere. E io perché stavo andando a Pordenone? Per scoprire qualche nuovo autore da leggere? Per rimanere deluso da uno che già leggevo o per tentare di scoprire che faccia avessero gli editor che decidevano ciò che avrei dovuto leggere da qui al 2017? Per riuscire a farmi autografare il maggior numero di libri dai rispettivi autori? Per mettermi in fila con gli altri e sentire di aver preso parte a qualcosa d’importante?
Tutte domande corrette. Risposte però di notte me ne sono arrivate ben poche e spesso non erano quelle che avrei voluto sentire e così ho aspettato il sabato. Sono uscito alle 8:30 dal mio albergo fuori dal centro di Pordenone e mi sono incamminato verso piazza San Marco, C.so Vittorio Emanuele II, Piazza della Motta e gli altri luoghi del centro storico di Pordenone infiocchettati di giallo canarino (il colore scelto dalla manifestazione) e mi sono messo ad aspettare.
La rivelazione ha bisogno di tempo. Guardavo le vetrine ricolme di poster neri con un uovo fritto al centro (lo slogan della XIV edizione era: meglio un uovo anche domani), cercando di covare tutto lo stupore di cui disponevo per accogliere la verità. Intanto iniziavo a fare file, dapprima piccole e scomposte, poi sempre più regimentate e lunghe, man mano che le ore si susseguivano e gli autori ospitati diventavano più conosciuti: Nassif, Durastanti, Ravera, Tamaro, Amis, Saviano. Per l’ultimo la fila era divenuta chilometrica già prima che finisse l’incontro precedente, costringendo i volontari del festival a tentare di dissuadere le persone in fila: “ Guardi che non ce la si fa. Rischia di aspettare tre ore e rimanere fuori. Io fossi in lei andrei a farmi un aperitivo.” Quest’ultimo consiglio in molti lo avevano già seguito, ma il loro spritz se lo bevevano in fila, con tanto di calice di vetro e parlavano, parlavano davvero, con la bocca intendo e con le mani, senza mettere mano allo smart-phone. Amicizie nuove e dimenticate si mescolavano, mentre la fila cresceva e i volontari si addossavano alle pareti cercando di capire come potevano farsi portare un bicchiere di qualcosa, di qualsiasi cosa.
Io guardavo la scena dall'esterno della fila, per esaminare non si deve vivere insieme agli altri e per un attimo ho pensato: “Eureka, ma allora Eco aveva ragione!” Forse fra un po’ gli smart-phone avranno una crisi di vendite e le persone inizieranno a parlarsi come nelle file di pordenonelegge, solo di libri e di storie, loro o altrui, inventate o reali, poco importa, perché per raccontarle dovranno prima ascoltare, senza poter passare a un’altra pagina mentre il proprio interlocutore parla, sebbene mi sembra di aver visto qualcuno che tentasse di cambiare argomento con un veloce gesto della mano, come sul suo i-phone. A questo, per ora, non siamo arrivati, ma non facciamo avere un’idea alla Apple, non si sa mai.
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