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Visualizzazione dei post da gennaio, 2017

L’arte di essere fragili di Alessandro D’Avenia e il rapimento di Giacomo Leopardi

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Giacomo Leopardi per me è sempre stato uno strumento musicale. Un violino per l’esattezza. Di quelli che sanno condensare una sensazione in pochi movimenti perfetti, capaci di fermarsi per sottolineare nel più inatteso dei modi un silenzio e poi ripartire. Precisi e sinceri, a trivellare l’animo di chi è in ascolto alla ricerca di una fragilità da far germogliare in domanda. Anch’io, come Alessandro D’Avenia racconta al lettore nel suo L’arte di essere fragili (Mondadori) , ho scoperto Leopardi grazie a un insegnante e alla sua mente illuminata, sebbene non l’abbia trovato in classe. Nella mia stanza di adolescente, seduto alla scrivania, avevo di fronte l’antologia di letteratura italiana e torturavo le orecchie che avevo indebitamente procurato all’innocente tomo. Sognavo un tornado salvifico che mi proiettasse in un universo parallelo in cui non mi sentissi il più sbagliato degli esseri viventi. Poi qualcuno mi poggiò la mano sulla spalla e mi chiese di leggere. Non volevo,

Jonathan Coe e la predittività della Famiglia Winshaw

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«Si arriva a un punto in cui l’avidità e la pazzia diventano praticamente indistinguibili. […] La disponibilità a tollerare l’avidità, a viverci accanto, e anche ad assisterla, diventa una sorta di pazzia». È uno dei personaggi del romanzo La famiglia Winshaw di Jonathan Coe a parlare. Pubblicato ormai 13 anni fa (era il 1994) ed incentrato sulla storia di una famiglia che incarnava il peggio dell’arrivismo e dell’avidità post-thatcheriana, La famiglia Winshaw racchiude in sé tutta la gamma di comportamenti e valori che hanno guidato la Gran Bretagna e gran parte dell’Europa nell’ultimo ventennio del secolo scorso. Questo romanzo, scritto da Coe con uno stile fluido che passa dal reportage giornalistico al giallo, transitando abilmente attraverso la satira politica, con alcuni spunti di grottesco, si è dimostrato capace di anticipare alcuni ‘estremismi’ morali, sociali ed economici cui si è spinto il capitalismo nei decenni successivi alla pubblicazione di quest’ope

L’eterna liquidità di Zygmunt Bauman e la sua mappa per abbattere i muri

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La prima volta che ho visto Zygmunt Bauman la ricordo distintamente. Non fu un incontro esclusivo, si sarebbe adattato poco alle idee di questo libero pensatore che ha fatto della lotta ai privilegi una delle basi portanti del suo lavoro, ma collettivo. Era il maggio del 2011, sedevo in silenzio in una platea gremita dell’Auditorium costruito da Renzo Piano a Roma. Davanti a me un ometto magrissimo e ricurvo, con i suoi vaporosi ciuffetti di capelli bianchi a incorniciare le ampie orecchie, quasi il suo corpo volesse compensare in qualche modo il divario fra le capacità recettive del suo sistema uditivo e quelle assai più vaste del suo cervello. Bauman presentava Vite che non possiamo permetterci (edito da Laterza), uno dei tanti saggi (ne ha pubblicati più di 50) che offrono al lettore l’opportunità di interrogarsi sul proprio modo di vedere e giudicare le cose e le persone. Fra i testi che l’inventore del concetto di ‘società liquida’ (una società caratterizzata

Lehman Trilogy. Il testo di Stefano Massini torna al Piccolo di Milano per raccontare il crepuscolo di un’epoca

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Era il gennaio del 2015, quando Luca Ronconi metteva in scena al Piccolo di Milano il testo di Stefano Massini Lehman Trilogy (edito da Einaudi nel 2014) che racconta la storia di tre generazioni di Lehman, coprendo 160 anni di storia americana. Dal loro arrivo in Alabama, nella seconda metà dell’Ottocento da un piccolo paesino della Baviera sui bastimenti che portarono migliaia di europei a cercare nel nuovo mondo una strada per il loro riscatto, al crollo della quarta banca degli USA ( Lehman Brothers ), un impero finanziario globale, che con la sua scomparsa ha decretato la fine del capitalismo del XX secolo.   A distanza di due anni, il Piccolo Teatro , per festeggiare i suoi primi 70 anni (fu fondato nel 1947 da Giorgio Strehler, Mario Apollonio, Virgilio Tosi e Paolo Grassi) e ricordare l’ultimo lavoro di Ronconi (scomparso il mese dopo la prima messa in scena di questa pièce al Piccolo), ripropone Lehman Trilogy offrendo la rara opportunità a chi andrà a vedere q