L’arte di essere fragili di Alessandro D’Avenia e il rapimento di Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi per me è sempre stato uno strumento musicale. Un violino per l’esattezza. Di quelli che sanno condensare una sensazione in pochi movimenti perfetti, capaci di fermarsi per sottolineare nel più inatteso dei modi un silenzio e poi ripartire. Precisi e sinceri, a trivellare l’animo di chi è in ascolto alla ricerca di una fragilità da far germogliare in domanda. Anch’io, come Alessandro D’Avenia racconta al lettore nel suo L’arte di essere fragili (Mondadori) , ho scoperto Leopardi grazie a un insegnante e alla sua mente illuminata, sebbene non l’abbia trovato in classe. Nella mia stanza di adolescente, seduto alla scrivania, avevo di fronte l’antologia di letteratura italiana e torturavo le orecchie che avevo indebitamente procurato all’innocente tomo. Sognavo un tornado salvifico che mi proiettasse in un universo parallelo in cui non mi sentissi il più sbagliato degli esseri viventi. Poi qualcuno mi poggiò la mano sulla spalla e mi chiese di leggere. Non volevo, ...