L’uomo non è un punto, ma una macchia, parola di Philip Roth

La copertina del primo libro di Philip Roth che ho comprato, la ricordo ancora. Un’edizione economica Einaudi, dove il candore che contraddistingue la casa editrice dello struzzo era interrotto da una foto sfocata di un uomo, in piedi, disperso in una landa artica in cui l’azzurro era predominante. Un azzurro dall’anima oscura. Il titolo del libro era La macchia umana, era così che mi sentivo anch’io a quel tempo: una macchia sfocata, ricolma di desideri che non osava tentare di realizzare, bisognosa di ottemperare alle innumerevoli attese altrui. Così raccolsi il libro da una muraglia di volumi e iniziai a leggere: “Fu nell’estate del 1998 che il mio vicino Coleman Silk – che prima di andare in pensione, due anni addietro, era stato per una ventina d’anni professore di lettere classiche al vicino Athena College, dove per altri sedici aveva fatto il preside di facoltà – mi confidò che all’età di settantun anni aveva una relazione con una donna delle pulizie trentaquattrenne che l...