Un inverno con Baudelaire di Harold Cobert

Come spiegare ad un bambino perché si susseguono il giorno e la notte? O perché la sera è cosparsa di stelle e l’alba di rugiada? Philippe Lafosse ha la sua idea: tutto dipende da un amore negato, da due giovani, divisi, perché insieme producevano troppa luce. 
È così che inizia il romanzo di Harold Cobert Un inverno con Baudelaire (elliot edizioni), con una favola narrata dal protagonista (Philippe Lafosse) a sua figlia Claire, con una speranza: ottenere ciò che si desidera, anche se sembra contrario alle più basilari leggi di natura e a tutto ciò che ci circonda, scoprendo che negli altri c’è posto (a volte) anche per un po’ di ascolto. Ma non lasciatevi ingannare da questo incipit, non siamo incappati in un libro per bambini, né in uno dei tanti testi più o meno interessanti e ripetitivi, prodotti sulla scia del Favoloso mondo di Amélie, no, il libro di Cobert  è ben piantato nel contesto sociale in cui viviamo. L’autore ci narra la storia di un uomo qualunque che dopo essere stato cacciato di casa dalla moglie, inizia ad avere difficoltà anche sul lavoro, fino a perderlo, trovandosi senza soldi e soprattutto (o dovremmo dire di conseguenza) senza amici, senza aiuto, sperimentando così la vita del clochard. Sorretto da una serie di telegrafici capitoli in cui si susseguono le giornate di Philippe e la sua rapida ed inesorabile discesa nel sottosuolo del capitalismo, il romanzo di Cobert ci fa conoscere l’inaccettabile e degradante routine delle giornate di un barbone a Parigi, tanto più inaccettabile, degradante e vicina perché comprensibile e percorribile da ognuno di noi in un momento di difficoltà e in un contesto socio economico in cui la linea fra povertà e borghesia è sempre più labile. Lo stile asciutto, l’utilizzo del tempo presente per evidenziare il “qui e ora”, l’esasperata semplificazione del linguaggio utilizzato da Cobert, così come delle giornate e dei (pochissimi) rapporti umani che Philippe riesce ad attivare nel suo nuovo status sociale di barbone, ci consegnano un protagonista in cui sarà facile ritrovarsi e immedesimarsi, con le sue debolezze, abitudini e con l’esigenza forte e silenziosa di essere ascoltato, di continuare ad esistere. Sarà un cane che Philippe incontrerà sulla sua strada a costringerlo a risollevarsi, a continuare a credere nella possibilità di ottenere ciò che si desidera (nel caso di Philippe, sua figlia Claire), ad alimentare la volontà e la speranza del protagonista. Maltrattate, manipolate e soffocate, non scompariranno, tramutandosi in un cane (il Baudelaire del titolo del romanzo) che, come ci ricorda Baudelaire (stavolta il poeta), sarà anche lercio, senza dimora e girovago fra le gole sinuose delle città, ma di esso avremo sempre bisogno.
  
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