Le Anime Scalze di Fabio Geda e la palestra del romanzo
Incontro Fabio
Geda nella sua città, in piazza Borgo Dora a Torino. Siamo in un luogo molto
speciale dell’antica capitale dei Savoia, è qui che centinaia di ragazzi e non
solo affollano le aule della Scuola Holden di Alessandro Baricco per trovare il
loro modo di fare scrittura. Ed è qui che Fabio mi aspetta appoggiato alla sua
bicicletta nera. Mi ricorda subito Ercole, il quindicenne protagonista del suo
ultimo romanzo Anime scalze (Einaudi)
che, con la sua fedele bici nera, percorre chilometri per trovare se stesso.
Iniziamo a
camminare per Borgo Dora, dove il sabato si tiene uno dei mercati più grandi e
suggestivi di Torino, e coraggiosamente ci fermiamo a bere una birra seduti
all’aperto, mentre un vento, stupito di scoprirsi ancora minaccioso a fine
aprile, ci danza intorno.
Mi piacerebbe cominciare a parlare di Anime scalze, proprio da Ercole, un
ragazzo nato in una famiglia complicata, con una madre che ha abbandonato i suoi
figli e un padre che è rimasto con loro solo fisicamente, inzuppando la sua
mente nell’alcol. Il lettore è subito
rapito da questa storia e prima ancora dal suo protagonista. Quando lo
segue ancora piccolo mentre si infila a letto, rannicchiandosi a fissare le
crepe da cui, Ercole ne è certo, usciranno dei mostri pronti a succhiarlo a
morte come se fosse una caramella, ecco è quello il momento in cui mi sono
detto: “Ecco, Ercole mi ha fregato”.
Da dove è partito Fabio Geda per creare questa storia
e il personaggio di Ercole? E come è nata la scena iniziale del romanzo in cui
Ercole è sul tetto di un edificio con un fucile in mano e la polizia che lo
assedia?
La storia di
Ercole nasce proprio da questo incipit. Mi è venuto in mente tantissimi anni
fa. Il tetto di un capannone su cui si era asserragliato un adolescente che
aveva con sé un bambino molto piccolo e sotto c’era la polizia che gli intimava
di scendere. Non sapevo chi fosse il ragazzo, chi fosse il bambino e la
relazione che c’era fra loro. Avevo solo la percezione che l’adolescente stesse
difendendo il bambino e che lo facesse per difendere anche una parte di sé. Ma
da quest’idea alla storia la strada è stata lunga. Parecchi anni dopo quest’intuizione,
a casa di mio fratello, mi sono imbattuto in un libro fotografico di Mike
Brodie e leggendo le prime righe della sua biografia mi si è aperta un’immagine
e da quell’immagine è nata la storia. Ho cominciato a scrivere e non mi sono
più fermato fino a quando non sono arrivato a Ercole, così come lo potranno
scoprire i lettori.
In ogni storia c’è un evento, spesso rappresentato da
una persona, che sconvolge l’equilibrio del protagonista e fa muovere tutto
l’impianto narrativo. In questo caso è Viola. L’amore, il primo amore di Ercole.
È lei che fa tornare a casa Ercole, dopo il loro primo incontro, in uno stato
di beatitudine che lei descrive molto bene, come se avesse «nella testa
l’aurora boreale e nello stomaco un tuffo in piscina». È la prima volta che
Fabio Geda racconta un amore adolescenziale?
Sì, volevo che ci
fosse una storia d’amore in questo libro perché non ne avevo mai raccontata una
fra adolescenti. I miei personaggi erano sempre stati troppo impegnati nelle
loro battaglie o nelle loro fughe. Forse avevo paura di scriverla e invece
questi personaggi nella mia testa hanno cominciato a muoversi e ho capito che
si stavano davvero innamorando. Sono due tipi di adolescenti molto diversi fra
loro. Ercole nasce dalla mia esperienza di anni di educatore in ambienti
difficili, Viola è la classica ragazzina di buona famiglia, piena di sogni,
passioni e gioia di vivere che incontro spesso quando sono nelle scuole a
parlare di libri. Sono due tipi molto diversi e farli contaminare a vicenda è
una delle ricchezze di questa storia. Vi si nasconde anche una speranza: mi
piacerebbe che questi due mondi si incontrassero davvero e spesso nella realtà.
Il tema dei talenti, spesso sprecati o sprecabili,
ricorre nel romanzo. Ercole disegna per esorcizzare le sue paure, è bravo ma né
la famiglia né la scuola lo aiutano a coltivare la sua vena artistica. Il
talento è un hobby “sfoga pensieri”, così come è accaduto per sua nonna, una
pittrice. «Non tutti possono permettersi di avere cura dei propri talenti. È
questa la verità». Lo dirà a Ercole sua madre, parlando della nonna del
protagonista che, pur essendo molto brava, aveva smesso di dipingere,
assorbita, precettata dai suoi doveri. C’è un modo per sfuggire a questa chiamata
al dovuto che schiaccia il voluto?
Sta dicendo una
cosa verissima, su cui non avevo riflettuto. Mi sta svelando qualcosa che è
uscito in modo inconsapevole. Probabilmente c’era quest’esigenza dentro di me,
ma non l’ho preimpostata. Credo nasca da una riflessione che faccio spesso con
i ragazzi delle scuole, quando mi chiedono come si fa a diventare scrittore e
se volevo diventare scrittore fin da ragazzo. Ai ragazzi dico che loro sono in
un’età in cui scoprono i loro talenti e saranno chiamati a coltivarli
caparbiamente nel resto della loro vita. Gli dico che io non avevo idea che
avrei fatto lo scrittore nella vita e quando ho cominciato a capire che avevo
una certa capacità di scrivere non osavo sognare di poter fare solo quel lavoro
per vivere. Sapevo di avere un certo talento narrativo, non sapevo ancora con
quale forma potevo esprimerlo al meglio, ma non ho mai smesso di coltivarlo.
Quello che conta è l’allenamento, partendo però da una base di talento. Penso
che a furia di fare questo discorso mi sia entrato dentro. Questo è un libro
che possono leggere tutti, ma mi piacerebbe che fossero soprattutto i coetanei
dei protagonisti di questa storia a leggerla e a non rinunciare a coltivare i
loro talenti.
Parliamo di Asia. Sorella maggiore di Ercole, sempre
pronta a difenderlo e a sostituirsi a due genitori assenti. Una donna che ha le
labbra come quelle di una statua, «un taglio nel marmo», che tiene strette
dentro di sé tutte le emozioni che incontra sul suo cammino, proprie o altrui,
convinta che basti perderne una per andare in frantumi. È grazie a lei che
Ercole capisce che nessuno, neanche sua sorella, è indistruttibile e che in una
famiglia si può imparare dagli altri indipendentemente dal ruolo che hanno. È
proprio così?
L’idea che adulti
e ragazzi si educhino a vicenda è molto presente nel libro. Credo ci sia un
grosso equivoco nel linguaggio utilizzato per descrivere l’evoluzione della
vita di un uomo. Abbiamo una parola per alcune fasi della vita ma non per
altre. Usiamo “infanzia”, “adolescenza”, “giovinezza”, ma poi passiamo subito
all’età “adulta” che copre venti/trent’anni della vita di un uomo, ma dentro
quell’adulto ci sono molte sfumature che non possiamo ignorare. Una persona di trenta
è molto diversa da una di quaranta che, a sua volta, è molto diversa da una di cinquanta.
Questo perché non esistono ragazzi e adulti. Tutti siamo in divenire. Con
questo libro volevo raccontare che la relazione fra ragazzi e adulti
funzionerebbe molto meglio se entrambi percepissero la controparte come una
realtà in divenire. Sono tutte persone e nessuno arriverà mai a uno “stadio”
stabile del suo sviluppo. Spesso noi ci “vendiamo” ai ragazzi come qualcuno che
sa, che è statico, ma è un errore. Gli adolescenti soffrono spesso per questo,
vedendo gli adulti come qualcuno che si è fermato e questo li allontana. Perché
allora creare delle barriere su qualcosa che non è neanche vero?
Ercole è un fine osservatore di cose, situazioni e
persone. Si lascia cadere sul sedile di un autobus a caso e va in giro per la
città a osservare le persone, «la complessità degli uomini». È un’abitudine che
mutua dal suo creatore? Se andassimo sui mezzi pubblici di Torino incontreremmo
anche Fabio Geda che ci osserva?
Uno dei ricordi
più forti che ho della mia adolescenza è il viaggio in pullman verso il liceo.
Mi sedevo vicino al finestrino e osservavo la città che si risvegliava. È una
cosa che ho sempre amato fare. Una cosa che faccio quando sono in una città che
non conosco. Prendo un autobus a caso, senza sapere dove va, mi siedo e osservo,
fino al capolinea e poi indietro al punto di partenza. Questo mi ha permesso di
scoprire cose che non avrei mai scoperto, affinando la mia capacità di
osservazione. Non l’ho mai fatto nella mia città, come fa Ercole, ma è bello
pensare che lui si senta straniero nella sua città e quindi lo viva in questo
modo.
Nel suo precedente romanzo Se la vita che salvi è la tua trattavi il tema dell’inquietudine di
una generazione di 35-45enni che non sapeva più dialogare con il mondo che la
circondava, perché formata su logiche, sistemi socio-economici e aspettative
che non esistono più. Per questo il protagonista del romanzo, Andrea Luna,
fuggiva. Con Anime scalze siamo alle
prese con una nuova fuga, c’è la stessa inquietudine in Ercole? E i nostri
adolescenti stanno vivendo un cambiamento traumatico come quello che hanno
vissuto i loro genitori?
I ragazzi non sono
cambiati. La scoperta di se stessi, dell’altro sesso, il bisogno di affrancarsi
dalla famiglia, tutto è uguale a venti o trent’anni fa. Sono i genitori a
essere molto cambiati nei loro confronti. Riescono meno bene della generazione
precedente a nascondersi dietro allo status di “adulto”. Sono spesso incerti e
indefiniti come l’adolescente. Quindi l’autorevolezza la devono conquistare sul
campo, con i fatti, con le risposte che convincono e vengono comprese dal
ragazzo come da un adulto. Oggi abbiamo due tipi di ragazzi: quelli annichiliti
dall’ansia per il loro futuro che noi gli abbiamo trasmesso e quelli che invece
sono già consapevoli, troppo consapevoli. Hanno dovuto capire cosa fare della
loro vita prima di quanto abbiamo fatto noi. La loro lotta è più dura della
nostra. Se pensiamo a ciò che leggono i ragazzi nella fascia di età 14-18, ai
primi posti ci sono saghe che raccontano futuri alternativi sempre
caratterizzati da virus letali, terremoti sociali, economici, politici, libertà
fondamentali ignorate. Questo ci deve far pensare.
Pensa che la letteratura per ragazzi sia vissuta
ancora in Italia come letteratura di serie B?
Purtroppo è così,
anche se è molto più difficile scrivere per ragazzi che per adulti. Scrivere
per ragazzi, dove per ragazzi intendo fascia 11-14, vuol dire creare
protagonisti in cui si possano ritrovare. Se creo una storia con un
protagonista adolescente credibile, con un buon ritmo e una buona storia,
piacerà. Bisogna conoscere i ragazzi di oggi, muoversi in mezzo a loro e così
ritrovare il se stesso ragazzo, senza imitarli, scimmiottarli. La cosa più
importante e difficile è trovare la propria voce da ragazzo e usarla per
comunicare a tutti, adulti compresi, con una lingua alta, solida, in modo che i
ragazzi attraverso la lettura della tua storia possano arricchire il loro
linguaggio.
Anche in questo libro ci sono molti riferimenti alla
pittura. Nel suo romanzo precedente il protagonista rimaneva in estasi a
fissare Rembrandt, in Anime scalze ci
sono riferimenti a colori e disegni che materializzano le emozioni. Quanto è
importante l’aspetto visivo per Fabio Geda?
Molto. Sono decisamente
un visivo. Ragiono, invento storie per immagini. Le mie parole sono un
tentativo di dare vita a quelle immagini. Tutti i miei libri sono scritti come
se davanti ai miei occhi ci fosse quella specifica scena.
Ha mai pensato di scrivere per il cinema?
Mi piacerebbe
moltissimo. Non ho ancora avuto il tempo. Nel 2017 festeggio i miei primi dieci
anni da autore pubblicato. In questi dieci anni volevo giocarmi la carta
narrativa del romanzo in modo potente. Ogni mio romanzo è una palestra, un
laboratorio per capire se posso fare cose diverse, situazioni diverse. Mi
piacerebbe ora provare la strada del cinema, vedremo.
Il bilancio di questi primi dieci anni?
Non avrei mai
pensato di potermi dedicare esclusivamente alla scrittura. Ho realizzato il mio
sogno. Partendo da un talento e dall’empatia che è una mia caratteristica
fondamentale. Capisco come le azioni si trasformano in narrazioni senza bisogno
di altro.
Leggeva qualcosa mentre scriveva Anime scalze? So che ha sempre dei libri feticcio sulla scrivania
mentre scrive.
Di solito sì, ma
non questa volta. Avevo in testa i miei primi romanzi e da quelli sono partito,
come se dovessi riscrivere oggi alcune emozioni di allora, con la mia
esperienza. Non sono d’accordo sull’idea che un autore scriva le cose migliori
da giovane. Perderà in irruenza, ma guadagnerà in ricchezza, esattezza e
potenza narrativa.
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