Bertolucci può diventare il “Borromini” di Piperno?

Se vi troverete a passeggiare per Roma vicino a Largo di Santa Susanna, in uno degli incroci più caotici del centro storico della capitale, provate a smettere di masticare il tempo, che vi assale come un blob informe pronto a inglobarvi e travolgervi, e sollevate lo sguardo. Intorno a voi, nelle loro armature di travertino, tre imponenti monumenti si contendono quel piccolo spazio, dopo aver subito, chi più chi meno, un piccolo lifting per privarli di alcuni strati di polvere e smog. La facciata della chiesa di Santa Susanna di Carlo Maderno (1595, primo esempio di barocco compiuto a Roma, costruita sui resti di tre ville romane che fronteggiavano le Terme di Diocleziano, lo stesso Diocleziano responsabile della morte della Susanna divenuta poi santa), la fontana del Mosè (o dell’Acqua Felice, da Felice Peretti, ovvero papa Sisto V, inaugurata nel 1587) e la seicentesca facciata di Santa Maria della Vittoria (ad opera di Giovanni Battista Sora, 1626). Tutti e tre i contendenti meritano una visita e soprattutto uno sguardo attento, ma per oggi ci soffermeremo su Santa Maria della Vittoria, perché al suo interno è conservata l’estasi di S.Teresa opera sublime del Bernini e capolavoro del barocco romano (1646). Posizionatevi di fronte a questo mirabile lavoro di cesello, cosa vi viene in mente? A me ha fatto pensare ad Alessandro Piperno e questo potrebbe apparire strano. Cosa centra Piperno con Bernini? Centra. Come nel caso di Bernini, resto ammirato dall’“opera” di Piperno, grato per la costruzione semantica delle sue narrazioni e il profuso utilizzo di fonemi ingiustamente dimenticati, ciononostante i suoi colpi di scalpello precisi e sicuri, costruiti su una tessitura di parole e incisi continui è per me così sinuosamente costruita da farmi perdere il contatto con la storia. Come davanti alle sculture del sommo Bernini, apprezzo il risultato stilistico, ma dentro non si smuove pensiero. Altra cosa è il lavoro del Bernini architetto, che al mio occhio profano appare più leggero e svettante, più innovativo e rischioso, soprattutto se parte dall’esperienza di altri artisti, penso al Borromini per esempio e alle sue invenzioni piroettanti. Lo stesso fa Piperno, il Piperno più osservatore che scrittore, che dice la sua sulla letteratura e sul mondo, in maniera diversa e concreta.

Il prossimo 25 ottobre uscirà al cinema l’ultimo film di Bernardo Bertolucci, Io e te tratto dall’omonimo romanzo breve di Ammaniti (di cui abbiamo parlato anche su imago). Piperno ha incontrato Bertolucci nella sua casa trasteverina e ha scandagliato con rispetto e ammirazione le memorie di uno dei registi più rappresentativi della storia recente del cinema italiano. Richiamando alla memoria del lettore i film più importanti (non soltanto per ritorno in termini di risultato al botteghino o per premi conquistati) di Bertolucci con veloci e suggestive pennellate, Piperno riesce ad accendere l’interruttore della memoria, che in molti di noi vibrerà davanti a qualche titolo “bertolucciano”. Novecento, ricordo la prima volta che l’ho visto dov’ero, cosa ho pensato, la scena che più mi ha colpito, Depardieu così magro e Robert De Niro così giovane, ma già possente, lo stesso vale per titoli come Io ballo da sola e The Dreamers, ma forse più di tutti, L’ultimo imperatore e la scena del lenzuolo zafferano che si solleva per mostrare a un imperatore bambino la fine improvvisa della sua fanciullezza, la sua nuova vita, una vita che poi non avrà mai. L’emozione provata la serbo ancora dentro di me e la lascio viaggiare.

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